22 marzo 2016, l’ennesima data da ricordare, l’ennesimo “per non dimenticare” da segnare sul calendario; ma non basta.
New York, Londra, Madrid, Bruxelles; migliaia di morti con una sola colpa, essere lì, essere liberi.
Ma ricordare, senza agire, non è una medicina al male, è il sale sulla ferita aperta.
Chesterton diceva che il vero soldato non combatte contro quel che ha davanti ma per quello che ha dietro di sé, noi, ora, ci siamo dimenticati cosa c’è dietro di noi, ci siamo scordati di chi siamo, di ciò che dobbiamo, o dovremmo, difendere.
Vittime consapevoli di un relativismo ipocrita e nauseante abbiamo deciso di cancellare, pian piano, la nostra identità.
L’Europa, è con lei l’Occidente, ha scelto di morire di un’eutanasia silenziosa, strisciante, quel male che ci fa vergognare dei nudi romani, vecchi di duemila anni, che ci fa censurare la Divina Commedia, che ci fa quasi giustificare ogni male, ogni colpa, ogni torto.
Quel male che ora porterà qualcuno a trovare vergognose scusanti per le bombe negli aeroporti e nelle stazioni della metropolitana, quasi che il sangue dei morti si possa lavar via con un colpo di spugna, un “volemose tutti bene”, anche a chi ci odia e ci vuole morti.
Quel male che imbastirà ridicoli teatrini mediatici su sicurezza, immigrazione e integrazione, buoni forse per qualche talk show in prima serata, non certo per fronteggiare seriamente la minaccia del terrorismo.
La sera in cui Salah Abdeslam, uno degli attentatori di Parigi, è stato arrestato il quartiere in cui è avvenuta l’operazione è insorto, insorto contro i poliziotti, colpevoli di arrestare un massacratore.
Questo non ha fatto pensare? Qualcuno si è chiesto come un terrorista ricercato in tutto il mondo possa vivere indisturbato per mesi in una città europea senza essere notato da nessuno?
Forse ce lo siamo domandati, tutti, ma abbiamo preferito non trovare risposta, perché altrimenti ci saremmo dovuti scontrare con una realtà innegabile ma difficile da accettare: l’Europa è morta, l’Eurabia, tanto ridicolizzata da ipocriti e buonisti, è invece tremendamente reale.
Oggi, ancora una volta, quella risposta bussa con insistenza, strappa i veli ideologici dietro cui ci siamo nascosti e ci si mostra in tutta la sua violenza.
Le immagini del fumo nero e acre che sale dall’aeroporto di Bruxelles, i feriti di cui possiamo quasi sentire le urla e percepire la paura, sono lo specchio di una civiltà che sta collassando sotto i colpi del terrorismo, una civiltà che ha deciso di tacere, per non andare contro corrente, per paura di una parola che marchia a vita “razzista”, una civiltà che, consapevolmente o meno, ha rinunciato a difendersi; una civiltà che preferisce affogare nel sangue dei suoi figli piuttosto che provare a rialzarsi in piedi e reagire davvero.
“Stop. Quello che avevo da dire l’ho detto. La rabbia e l’orgoglio me l’hanno ordinato”.
Giacomo Tamborini