
Morire per colpa dell’indifferenza. Forse della paura. Perché la cosa assurda è proprio questa: molti, quella mattina, non si saranno fermati per la paura che nella società di oggi una donna che grida aiuto può scatenare. “Chissà cosa c’è sotto?”, “Sarà una finta?” saranno stati i pensieri che avranno attraversato le menti di buona parte di coloro che, quella mattina, non si sono fermati. Un altro genere di pensiero, ancora meno nobile, avrà invece appena sfiorato le menti degli altri: “Non ho tempo, non mi riguarda, sono già in ritardo, si fermerà qualcun altro”. E appena la figura della donna che gridava aiuto era uscita dal cono visivo, già se ne erano dimenticati. Eppure erano le 9 di mattina. Non era piena notte, cosa che avrebbe forse parzialmente giustificato il timore a fermarsi. Era una donna con un bambino che gridava, lungo un viale tra i più trafficati di Varese. Ma non è un caso isolato purtroppo. Un ragazzo, appesa la notizia, racconta di come un suo amico, pochi giorni fa, abbia assistito ad un incidente.
Un ragazzo su un motorino, ad un semaforo, scivola sul ghiaccio e cade. Il testimone, che poi si sarebbe fermato ad aiutarlo, ha tra lui e il ragazzo incidentato circa dieci macchine. Tutti gli automobilisti davanti a lui partono, scartano il motorino e il guidatore con l’auto passandogli accanto, senza fermarsi. È evidente che ormai manca alla nostra società quel legame che una volta ci rendeva una comunità. Mentre oggi assomigliamo di più ad una massa di individui atomizzati, che vivacchiano schivandosi l’un l’altro. È più paura o indifferenza a farci agire così?
Non sappiamo se il bambino, se fosse stato soccorso subito, si sarebbe salvato. Ma è un dubbio che tormenta. Di fronte a quello che è successo, dovremmo tutti porci una domanda: noi ci saremmo fermati?
Marco Tavazzi