Molti fatti in queste ultime settimane mi hanno fatto riflettere su cosa sia la memoria, la necessità di conservare il ricordo di fatti che hanno segnato in maniera dolorosa e decisiva la nostra storia nazionale. Anche fatti personali.
La generazione della guerra se ne sta andando. Le persone nate tra gli anni ’20 e l’inizio degli anni ’30, l’ultima generazione in vita che ha vissuto i fatti della seconda guerra mondiale, dell’armistizio, dell’Italia divisa in due in una lotta fratricida tra partigiani e repubblichini, sta giungendo per età anagrafica alla fine delle sua esistenza.
Fa parte della vita, per quanto ci rattristi dover salutare persone a noi care. Ma non è un problema legato solo agli affetti personali.
Stiamo perdendo i protagonisti e i testimoni che hanno vissuto sulla propria pelle gli orrori della guerra.
E questo rende necessario colmare la lacuna, soprattutto per le nuove generazioni, che lascerà la scomparsa dei testimoni diretti di questa triste pagina di storia. Perché la memoria, oltre a farci capire noi stessi e il nostro popolo, serve innanzitutto ad evitare che si commettano gli stessi errori del passato.
La memoria serve a costruire il futuro, e la memoria delle atrocità della guerra serve ad evitare che si creino le stesse condizioni sociali e politiche che possano riportarci a sprofondare in un abisso come quello che i nostri predecessori hanno vissuto.
Il teatro, le arti, la cultura devono riuscire a trattenere questa memoria e a tramandarla. Un uomo non è libero senza cultura. E un uomo che non è libero di pensare in modo critico, può tornare a commettere degli errori.
Marco Tavazzi
Nel video un passaggio del “Comandante Claudio”, regia di Michele Todisco, con Clarissa Pari e Andrea Minidio