La tattica politica più vecchia del mondo è quella di distrarre la gente con un problema minore, per nascondere il problema più grande. Questa può tranquillamente essere la sintesi dell’abolizione delle Province.
Abolizione che in realtà è una grandissima pagliacciata, perché alla fin fine non viene abolito proprio niente.
Gli enti, pur con qualche cambiamento, continueranno ad esistere. Verranno modificate in parte le funzioni e questo, purtroppo, non sarà un vero risparmio economico per le casse pubbliche, trasferendo i servizi ad altre istituzioni semplicemente si creeranno maggiori malfunzionamenti.
Il personale, a partire da quello dirigente, salvo i varipensionamenti e le riduzioni di organico che fanno parte della spending review messa in campo da tutti gli enti locali, resterà. Gli uffici, anche. Cos’è che cambia? Il presidente della Provincia e i consiglieri provinciali non saranno più eletti dai cittadini, ma verranno sostituiti da assemblee di sindaci, tra i quali verrà individuato il presidente. Un ente di secondo livello, insomma, dove chi governerà non sarà eletto direttamente per quel ruolo. E guiderà l’ente come una sorta di “secondo lavoro”. Il potere, di fatto, passerà tutto in mano ai burocrati, non eletti e inamovibili.
E se vogliamo fare un ragionamento di costi economici, prendendo ad esempio la Provincia di Varese, forse una delle poche che in Italia funziona, vogliamo mettere il gettone di presenza del consigliere provinciale di circa cento euro lordi a seduta contro i megastipendi dirigenziali?
Il dubbio, di fronte a questa riforma (che se porterà a casa veramente l’abolizione del Senato potrebbe comunque segnare un passo avanti, non siamo contro a priori), è che si continua a colpire gli enti locali già tartassati, senza fare tagli consistenti e reali agli sprechi centrali. I fatti di Roma Capitale ne sono un esempio.
E a questo proposito, va detto che non tutti gli enti locali sono trattati allo stesso modo.
Ben otto comuni, ovvero Torino, Milano, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria, diventeranno città metropolitane. Una sovrastruttura in più, insomma, alla faccia della semplificazione. E naturalmente i sindaci di queste città metropolitane non verranno eletti da tutti, ma almeno per il momento saranno gli attuali primi cittadini.
Il premier Matteo Renzi ha sempre parlato di necessità di dare un segnale perché c’è un forte scollamento tra cittadini e politica. Eliminare uno dei livelli elettivi più vicini ai cittadini, dopo i comuni, va proprio in questa direzione: quella di aumentare lo scollamento.
Marco Tavazzi