Viaggio in Siria/5. Nella “città fantasma” di Homs. FOTO

”Quello che un tempo era considerato il suq più bello di tutta la Siria ed era il luogo di lavoro per orafi e artigiani di merci preziose ora è una città fantasma, un unico eroico negoziante espone le proprie merci nel suo locale, riaperto, rimesso a nuovo”

11 Febbraio 2016
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Damasco, 05 febbraio – Quella di oggi è la giornata più attesa, nella serata di ieri abbiamo avuto una conferma importante: nel pomeriggio, visiteremo quel che resta della città di Homs.

Dopo una mattinata di incontri istituzionali torniamo in albergo ci prepariamo a lasciare Damasco, destinazione Tartous, città costiera a sud di Latakia e a nord del Libano.
La strada verso Tartous costeggia il confine con il Libano fino ad Homs per poi svoltare in direzione ovest verso la costa, i continui checkpoint rallentano la marcia, uno di questi è controllato dalla ben nota Quarta divisione, agli ordini diretti di Maher Assad,il fratello minore di Bashar Al Assad, nota per la risolutezza con cui affronta i nemici sul campo di battaglia e la capacità tattica in battaglia, hanno il principale acquartieramento a Damasco e sono schierati sul fronte di Aleppo.

Ad un centinaio di km da Homs, prima che il deserto lasci spazio alla macchia mediterranea, alla nostra destra si apre un’intera vallata ancora in mano ai terroristi.
È bersaglio costante dei Mig russi, nell’intento di aprire la strada alle truppe di terra favorendone l’avanzata.

Prima di Homs la strada si biforca, a sinistra verso Homs e Tartous (per poi proseguire verso Latakia e il confine nord con la Turchia) a destra verso Palmyra, sito archeologico di importanza mondiale, ormai ridotto ad una pianura desertica.
Templi distrutti, reperti trafugati e intere aree setacciate con i caterpillar alla ricerca di materiale da rivendere al mercato nero. Non sarebbe certo una sorpresa ritrovare quegli stessi reperti, con me spesso accadde in passato, in qualche museo di New York o di Londra tra pochi mesi.

In una quarantina di minuti raggiungiamo una delle porte di Homs, i checkpoint si fanno sempre più frequenti e ben equipaggiati, quando entriamo in città la devastazione che ci troviamo davanti non è facilmente descrivibile.
Le parole non rendono quello che le immagini trasmettono, uno a fianco all’altro convivono quartieri intatti e quartieri di cui restano solo macerie.

Raggiungiamo il palazzo del Sindaco, al suo interno ci attende una delegazione accompagnata da giornalisti locali, durante l’incontro ci viene fatto un resoconto completo della situazione attuale della città.
Più del settanta per cento dei quartieri ha subito danni al oltre il 90% degli edifici, di alcuni quartieri non resta nulla. Un quartiere, a nord ovest della città, sono ancora presenti gruppi terroristici, nella maggior parte dei casi si tratta di bande di cani sciolti, legati alla malavita locale.
Il sindaco ci informa di trattative in corso con queste bande, tesi a raggiungere accordi con i guerriglieri. Si tratta nella maggior parte dei casi di ribelli siriani, il fronte Al Nusra ha già abbandonato l’area nei mesi scorsi, uno degli obiettivi è evitare un ulteriore spargimento di sangue e cercare di creare, per il futuro, una base per un percorso di pacificazione nazionale che coinvolga anche quella parte di popolazione che si è schierata con gli estremisti.

Al termine della proiezione c’è un breve incontro con la stampa locale, ci chiedono ancora una volta di far sì che giunga in Italia la loro voce perché si comprenda che questa guerra non ha nulla a che fare con una rivoluzione democratica.

Rimontiamo sui bus, ci portano a poca distanza, nel quartiere vecchio, il centro storico di Homs, per meglio dire: quel che ne resta. Sono immagini che prima d’ora avevo visto solo nelle produzioni hollywoodiane o in alcuni videogiochi.
Ogni singola costruzione umana è crivellata di colpi, data alle fiamme o crollata su se stessa. Qua e là dove prima c’erano palazzi ci sono solo cumuli di macerie.
Il suq cittadino aveva una copertura metallica ad un’altezza di sei o sette metri, è crivellata di colpi, la luce filtra come un cielo stellato.

Quello che un tempo era considerato il suq più bello di tutta la Siria ed era il luogo di lavoro per orafi e artigiani di merci preziose ora è una città fantasma, un unico eroico negoziante espone le proprie merci nel suo locale, riaperto, rimesso a nuovo. Vende abiti per bambini.
“Ho deciso di riaprire per dare un segnale ai miei colleghi e ai miei concittadini. Non dobbiamo più avere paura, la nostra vita deve ricominciare”.
Di fronte a lui due uomini lavorano per risistemare un altro negozietto, il coraggio è un attitudine e l’esempio indica la via.

Il convoglio fa un’altra tappa, siamo nella piazza in cui sorge la moschea di Khaled Ibn Al Walid, se possibile il paesaggio attorno è ancora più desolante, sembra uno scenario post-atomico è, semplicemente, tutto distrutto.

Vaghiamo per una mezz’ora in quello che sembra un set di un film catastrofico e poi, in un silenzio quasi irreale per quella che normalmente è una comitiva rumorosa, ci avviamo verso Tartous.

Arriviamo a destinazione un paio d’ore dopo, posiamo i bagagli e immediatamente usciamo diretti alla casa del Ministro degli affari religiosi, con cui intratteniamo un incontro informale, ci viene presentato un progetto gestito da giovani musulmani teso a contrastare la diffusione dell’Islam più radicale ed intollerante.

Andiamo a cena, nonostante la distruzione e la sofferenza che abbiamo incontrato, nonostante le sensazioni contrastanti ci lasciamo andare ad una serata allegra, quasi spensierata, sembra inopportuno… ma non lo è.

Gabriele Bardelli 

 

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