Damasco, 02 febbraio – Le notti volano via veloci, gli impegni, le emozioni, la tensione e la stanchezza accumulata ti fanno crollare in un sonno profondo ma breve.
Ci svegliamo e ci prepariamo. Dopo una rapida colazione siamo pronti per uscire.
Ogni giorno abbiamo un’idea vaga del programma, che si articola sulla base delle condizioni di sicurezza, terribilmente mutabili in un lampo.
A volte capita che un incontro previsto non abbia luogo, o che venga anticipato o posticipato di ore, gli orari sono poi quanto mai variabili, ma a volte ho l’impressione che questi “orari siriani” fossero simili anche prima della guerra.
Il primo incontro del mattino è con S.E. il Ministro della salute Nezara Uehbe Yazgi, ci riceve nella sala conferenze del suo ministero, ad accompagnarlo quattro direttori di vari dipartimenti.
Il Dottor Yazgi, prima della guerra, oltre ad essere Ministro, possedeva anche una trentina di cliniche private sparse per tutto il Paese (ora quasi totalmente distrutte). Una sorta di conflitto di interessi che non gli ha però impedito di restare al suo posto in una situazione che ha visto molti medici (voci non ufficiali parlano del 50%) scappare all’estero.
La Siria precedente alla rivoluzione Baath aveva un tasso di analfabetismo incredibilmente alto, alla stragrande maggioranza dei siriani era impedito l’accesso al sistema scolastico. Dalla rivoluzione in poi le cose si sono ribaltate.
Per i siriani l’istruzione è completamente gratuita a partire dalle elementari fino alla fine dell’intero ciclo universitario. Per gli studenti più meritevoli, fino a pochi anni fa (le sanzioni hanno ridotto le disponibilità economiche) il governo pagava gli studi all’estero attraverso borse di studio.
In questo contesto vanno analizzate determinate scelte fatte da governi europei in tema di immigrazione, più che per una volontà di assistere ed aiutare i siriani in fuga dalla guerra.
Un concetto che mi è capitato di sentir ripetere da molti, indipendentemente che fossero camerieri o direttori di istituti nazionali, è che dalla Siria loro non se ne vogliono andare, perché questa è la loro Patria, non un albergo da cui andarsene quando il servizio non si fa soddisfacente, ma tantomeno nel momento in cui la loro Patria ha bisogno di loro. Non temo smentite nell’affermare che la stragrande maggioranza degli italiani avrebbe da imparare da questo coraggio.
Il Ministro ci illustra nel dettaglio la situazione sanitaria del Paese, ci spiega come molti dei problemi siano legati alla difficoltà di approvvigionamento dei medicinali a causa dell’embargo internazionale, pregandoci di agire come cittadini e chiedere ai nostri governi di interrompere l’embargo per permettere che almeno le emergenze sanitarie vengano risolte.
I Direttori dei vari dipartimenti spiegano come alcuni ospedali, quelli parzialmente danneggiati, siano stati risistemati e riaperti, altri, quelli danneggiati pesantemente, siano invece stati abbattuti in quanto non recuperabili.
La struttura sanitaria precedente alla guerra ora si avvale, per coprire l’intera area geografica nazionale, di ospedali da campo e ambulatori, anche nelle aree controllate da terroristi il governo ha comunque deciso di continuare a pagare gli stipendi del personale sanitario, conscio del fatto che lo stesso, oltre a curare i fondamentalisti, si prenderà cura anche dei cittadini siriani.
Lasciati gli uffici del Ministero della Salute ci dirigiamo verso il Ministero degli Affari religiosi, ministero il cui scopo principale è facilitare la convivenza tra le varie religioni presenti in Siria, dove incontreremo S.E. Ahmad Baddredin Hassoun, Gran Mufti di Siria.
Ascoltare il Mufti ha un che di mistico, è un religioso illuminato e con una chiara visione del mondo che rappresenta al meglio l’identità siriana. Ci ha a lungo parlato, con una serenità non comune per chi, ad esempio, parla di come gli abiano ucciso il figlio per punirlo delle sue posizioni contro il settarismo ed il fondamentalismo.
“Le chiese, le moschee distrutte, possono essere ricostruite, ma anche un solo bambino che oggi muore in Siria, rappresenta una perdita incolmabile per l’umanità. Bisogna lavorare tutti insieme per spegnere il fuoco del terrorismo che distrugge l’uomo. Già dieci anni fa davanti al parlamento europeo avvertii i vostri governanti del fatto che le moschee ed i centri islamici in costruzione in Europa erano per la quasi totalità luoghi in cui veniva propagandato l’odio da parte del wahabismo e dei salafiti, affermai che il terrorismo sarebbe arrivato anche in Europa. Non fui ascoltato, le mie posizioni mi resero nemico giurato dei terroristi, i media occidentali travisarono le mie parole tramutandole in una minaccia contro l’Europa”.
Il Mufti, come la totalità delle autorità politiche e religiose incontrate nel corso di questa missione, ci chiede di farci portavoce di un messaggio chiaro, esistono luoghi in medio oriente in cui etnie e religioni convivono da millenni, nei secoli sono riuscite a superare contrasti, anche duri e sanguinosi ma trovando un equilibrio lontano dalla prevaricazione. Quei luoghi oggi sono bersagli per gli oscurantisti religiosi, sostenuti, affiancati, armati e guidati da governi occidentali avidi e non lontani dai popoli che dovrebbero rappresentare, ma il prezzo di questa follia lo pagheremo tutti.
E’ appena tramontanto il sole, il nostro convoglio si inoltra tra gli stretti vicoli del suq, a destra e sinistra decine di piccole botteghe immutate da secoli, all’improvviso la via si apre, in uno slargo svettano le colonne di un tempio romano, la Siria ha un legame storico indissolubile con l’Italia e con Roma, fatto di imperatori e santi cristiani, nella moschea di Omayyadi di Damasco, il terzo luogo di culto per importanza nel mondo islamico, in cui dicono sia conservata la testa di San Giovanni il Battista, ed è luogo di culto anche per i cristiani.
Arriviamo in pochi minuti alla Chiesa del Patriarcato, la più antica chiesa della Siria, risalente al 59 d.c. dove incontriamo il Patriarca Gregorio III Laham della Chiesa Cattolica Greco Melchita, una figura religiosa di primo piano non solo in Siria ma per l’intero mondo cristiano del Medioriente.
Amico personale di Giovanni Paolo II, officiò le sue esequie funebri, ha avuto nell’arco della sua esistenza ruoli di primaria importanza in molti degli incontri interreligiosi che si sono tenuti nell’arco degli anni.
L’incontro scorre velocemente in un clima informale, quasi scherzoso, il Patriarca ha un carattere forte ma gioviale, ci racconta di come fosse la vita e il rapporto tra religioni nella Siria degli Assad prima della crisi, dei luoghi di culto, di come il cristianesimo abbia raggiunto Damasco pochi mesi dopo la morte di Gesù, di Saul, che sulla via di Damasco venne folgorato e come, da persecutore di cristiani divenne professore della fede.
Anche per un agnostico come me, non insensibile alla spiritualità, le parole del Patriarca hanno un fascino profondo, quello di una storia che si perde nei millenni, ma che a sua volta dai millenni trae potenza, religioni differenti che si intrecciano tra loro, condividendo e, a volte, rimpiazzando luoghi di fede, tradizioni e ritualità.
La giornata ormai volge al termine, ci ributtiamo nel traffico damasceno, sempre seguiti dai nostri angeli custodi della scorta.
Domani lasceremo per la prima volta Damasco da quando siamo arrivati, ci aspetta la zona di Maloula e Saidnaya, antiche aree cristiane e luoghi di pellegrinaggio sin dai tempi antichi, devastate dalla furia fondamentalista.
Gabriele Bardelli