Camillo Massimo Fiori è stato un uomo di straordinaria sensibilità culturale e politica. Un credente laico e un democristiano convinto sostenitore del dialogo e del confronto, soprattutto con i “nemici di sempre”, i comunisti, attento ai fermenti ed ai movimenti sociali. Insomma un democristiano davvero atipico.
Ho avuto la fortuna di conoscerlo e di avviare con lui un rapporto amichevole dalla fine degli anni settanta. Pur collocati politicamente su sponde opposte abbiamo continuato a parlarci sempre, come buoni compagni di viaggio. Negli ultimi anni gli incontri si erano diradati, ma ogni occasione era buona per scambiarci idee e valutazioni sul tema che più appassionava entrambi: i mutamenti sociali, il ruolo dei partiti e della politica.
Nell’ultimo incontro di qualche mese fa mi aveva colpito, nonostante la sua evidente sofferenza fisica, la forza d’animo e la lucidità della sua critica alla politica spettacolo incapace di rispondere ai grandi dilemmi del nostro tempo e sempre più piegata nel vizio italico di un leaderismo privo di contenuti e spregiudicato nel gioco del potere. Nel suo argomentare pacato traspariva la nostalgia per una politica alta, pregna di valori e di radicamento sociale. Com’era un tempo!
In queste ore segnate dai ricordi e dalle emozioni mi è tornato in mente il libro “A zonzo nella memoria”, edito nel 1989 dal PCI varesino, e la bella recensione di Camillo Massimo Fiori, pubblicata sull’organo della DC provinciale, La Voce delle Prealpi, di cui era direttore.
Conservo ancora il ritaglio tra le pagine di quel libro e ricopio uno stralcio significativo di quella recensione:
“Un bel libro di testimonianze di militanti e dirigenti del PCI, noti o poco noti, che evidenzia un forte senso di competizione nei confronti dell’avversario, laddove per tale si intende soprattutto la Democrazia Cristiana. Sicuramente le linee di queste due forze divergevano profondamente ma è egualmente vero che anche in quel partito erano e sono presenti forze che, per dirla con l’Apocalisse, guardavano a “nuovi cieli e a nuove terre” impegnandosi per anticipare nel tempo storico presente la “Gerusalemme celeste”. L’essere avversari, il contrapporsi anche rudemente non significava, neppure nei momenti di più acuto contrasto, il venir meno di una reciproca stima e di una sotterranea, nel senso di inconscia, amicizia e solidarietà. Erano tempi duri e non c’era allora appiattimento delle posizioni politiche. Ci si sforzava ciascuno di essere coerente con le proprie idee e, proprio per questo, c’era più lealtà. Ma sì, confessiamolo, l’istituzione PCI negli anni indagati dal ricordo dei nostri protagonisti e che coincidono anche con quelli del mio impegno politico giovanile mi intimidiva e non esercitava su di me alcun fascino; ma quanta ammirazione per quei comunisti putiti, idealisti, impegnati, che avevano il coraggio di rischiare e di pagare…”
Il libro venne pubblicato qualche mese dopo il crollo del muro di Berlino e qualche mese prima delle mie dimissioni da Segretario provinciale del PCI. In quei mesi, dopo la “svolta della bolognina”, si era di fatto avviato il processo che avrebbe portato, un anno dopo, allo scioglimento del PCI. E Fiori concludeva l’articolo così: “il rischio vero è che la “cosa”, il nuovo partito che dovrebbe nascere dalle ceneri del PCI, si converta al consumismo della politica, alla nuova moda del pragmatismo radicale per cui è buono tutto ciò che è accettato, che ha successo”.
Parole profetiche, che non ho mai dimenticato. Grazie, Camillo Massimo Fiori!
Rocco Cordì
Consigliere comunale Sinistra ecologia e libertà