Ci sono 104 episodi di omotransfobia nel report stilato da Arcigay in occasione della Giornata internazionale contro omofobia, transfobia e bifobia che si celebra domani, 17 maggio, in tutto il mondo. Il report su basa sul monitoraggio delle fonti giornalistiche e riporta perciò solo avvenimenti segnalati sui mass media nel periodo intercorso tra il 17 maggio 2015 e oggi.
Il numero degli eventi intercettati perciò rappresenta solo la punta dell’iceberg di un fenomeno quotidiano, martellante: riportiamo solo gli episodi denunciati, in cui è evidente il movente omotransfobico e che hanno superato il filtro della notiziabilità. Ciò significa che questo report fotografa solo la parte visibile se non addirittura evidente del fenomeno. C’è sicuramente tantissima omotransfobia che sfugge allo sguardo di questo monitoraggio e che rende il dato numerico, in quanto solo proporzionalmente indicativo, decisamente preoccupante.
“Abbiamo scelto di raccontare un anno di omotransfobia – spiega Gabriele Piazzoni, segretario nazionale di Arcigay – lasciando a questo racconto la sua dimensione qualitativa, affinché non fosse solo chiaro il numero delle discriminazioni e delle violenze che le persone lgbt hanno subito nel nostro Paese, ma perché si cogliesse anche il modo tremendo, umiliante, spesso inaspettato, in cui queste violenze si producono ed esplodono. Nel nostro report ci sono fatti molto diversi tra loro, al punto che alcuni non sembrano quasi avere nulla a che fare con altri: lo abbiamo fatto appositamente per sottolineare da un lato la molteplicità di maschere che l’omotransfobia indossa per manifestarsi, dall’altro per rendere evidente il filo rosso di odio e intolleranza che lega assieme tutti questi avvenimenti. Quello che ci lasciamo alle spalle non è un anno qualunque: durante gli ultimi dodici mesi il Parlamento e il Paese hanno attraversato in maniera profonda il dibattito sulle unioni tra persone dello stesso sesso, fino all’approvazione di una legge appena una settimana fa. La radicalizzazione di questo dibattito è sicuramente una delle chiavi di lettura che bisogna tener presenti nel leggere il rapporto, quantomeno per l’analoga esperienza che gli attivisti e le attiviste lgbti dei Paesi che si sono già dotati di quella legge da anni riportano. Ma questo non è un alibi, semmai è un’aggravante: è compito dello Stato intercettare e affrontare l’ondata di ostilità che le persone lgbti in Italia stanno subendo quasi fosse il prezzo del riconoscimento di un diritto. Va detto inoltre che abbiamo scelto di non riportare in questa fotografia alcuni aspetti di questa radicalizzazione, che avrebbero fatto esplodere le cifre: non abbiamo quindi menzionato la discesa in campo delle Sentinelle in Piedi, i Family Day, i sedicenti terapeuti che promettono di “guarire” l’omosessualità, le campagne dei fanatici del “no gender” e nemmeno le mostruosità emerse durante il dibattito parlamentare. Abbiamo scelto insomma di raccontare l’omotransfobia al netto delle sue manifestazioni più ricorrenti e metodiche. Una scelta di metodo, naturalmente, ma non di merito: per noi non esiste alcun dubbio che anche in quei casi – anzi: in quei casi senza alcun dubbio – si tratti di omotransfobia. Fatte tutte queste premesse è il caso di fare alcune considerazioni sul ritratto che il report traccia: innanzitutto di omofobia e transfobia in Italia si muore ancora, lo testimoniano i due omicidi e i due suicidi che compaiono nel rapporto,assieme a tutti gli altri sommersi, invisibili. Non solo: le persone lgbti sono socialmente fragili, esposte a pericoli peculiari della loro condizione. Le persone omosessuali e transessuali sono bersagli privilegiati di rapine, pestaggi, stupri. Inoltre, gay e lesbiche quando non visibili (cioè quando indotte dall’omofobia ambientale a nascondere il proprio orientamento sessuale) diventano bersagli di ricatti ed estorsioni. E, come le persone trans, sono di frequente fatte oggetto di derisione, di insulti, di limitazioni alle libertà personali, di discriminazioni, di bullismo a scuola, di mobbing sul lavoro. Non esiste, poi, un identikit dell’omofobo: nel nostro report ci sono omofobi appartenenti alla classe dirigente, politici, funzionari pubblici, commercianti, studenti e studentesse, padri e madri di famiglia. Sono italiani o stranieri, indistintamente. E soprattutto sono giovani (talvolta anche giovanissimi) o vecchi. L’omofobia, insomma, non ha età, ruolo sociale, provenienza geografica, estrazione economica o culturale. È ovunque e colpisce le persone lgbti indistintamente, da sole, in coppia o in gruppo, nei luoghi affollati e in quelli isolati, di notte o in pieno sole. È un ritratto desolate insomma, nel quale ogni pennellata rappresenta un rischio di marginalizzazione e autoesclusione, se non addirittura un pericolo, per tutte le persone omosessuali e trans. Ed è un ritratto che va lasciato aperto, perché è nella contaminazione con tutte le altre forme di discriminazione (per provenienza geografica, censo, genere, credo politico o religioso, età, aspetto fisico) che se ne intravede il peso e la drammaticità. Servono leggi, sicuramente. La prima è quella contro l’omotransfobia, che da decenni chiediamo, in vigore in tantissimi Paesi d’Europa e del mondo e che giace immobile da oltre 300 giorni alla Commissione Giustizia del Senato. Ma servono anche azioni culturali e di welfare, per sgretolare il pregiudizio e sostenere le persone fatte bersaglio dei crimini e delle parole d’odio. Non solo a Roma, quindi, ma in tutti i luoghi istituzionali del nostro Stato va aperta una discussione seria e concreta sulle azioni che è necessario mettere in campo. Questo è l’auspicio che rinnoviamo in occasione della Giornata Internazionale contro l’omotransfobia e che consegnamo alle istituzioni assieme al pensiero per tutte quelle vittime, soprattutto per quelle che non ci sono più, che hanno atteso invano fino oggi che l’Italia cambiasse, migliorasse. A loro dobbiamo tenacia, fiducia ed efficacia. Anche per loro dobbiamo trasformare l’Italia in un Paese migliore”, conclude Piazzoni.
In occasione della Giornata Internazionale contro l’omotransfobia, Arcigay ha promosso una campagna di comunicazione con quattro immagini rappresentanti altrettante persone lgbti provenienti da Paesi in cui esiste un legge che persegue e sanziona l’omotransfobia. Le quattro immagini sono state riprodotte in banner per i canali web e i social network e in cartoline e locandine in distribuzione nelle 53 città italiane in cui Arcigay è presente, tra cui anche Varese, che organizzerà insieme a SISM, Croce Rossa Italiana e Cooperativa Lotta Contro l’Emarginazione un evento al Salotto in Viale Belforte. Sui banner e sui materiali stampati le immagini sono accompagnate dallo slogan “L’omofobia, la bifobia e la transfobia non sono un’opinione”.