Biennale di Venezia: dal 13 maggio al 26 novembre 2017

A Venezia la nuova Biennale: VIVERE ARTE VIVA è il titolo di quest’anno

19 Gennaio 2017
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Viva arte viva è il titolo della cinquantasettesima Biennale d’arte di Venezia, che si svolgerà dal 13 maggio al 26 novembre 2017. “Obiettivo di questa esposizione internazionale sarà” – come dichiarato dalla curatrice francese Christine Macel – “mettere in luce la centralità dell’arte e dell’artista, in un periodo storico martoriato da tragici conflitti mondiali che sembrano negare umanità e filantropia. La finalità dichiarata è quella di creare un percorso organico all’interno della multiforme e sfaccettata complessità universale. I padiglioni non saranno soltanto stanze che ospitano opere d’arte contemporanea ma veri e propri universi dedicati a una determinata e specifica tematica, che dialogheranno tra loro, susseguendosi senza soluzione di continuità ma proponendo un racconto sulla complessità del mondo e la molteplicità di pratiche e posizioni.”

In sostanza – come il celeberrimo trasumanar dantesco – i trans-padiglioni di questa esposizione universale si propongono di svolgere un ruolo di passaggio da una condizione a un’altra, per portare il visitatore a vivere un’esperienza di estroversione, dall’interiorità all’infinito, alla ricerca di un neoumanesimo.

VIVAARTEVIVA è una proposta di dialettica, che pone al centro la figura dell’artista per interrogarlo. L’artista come legame tra un’esperienza di vita del singolo e una collettiva e universale che tende all’assoluto. L’artista come figura-ponte che decostruisce e ricompone, che fissa e cambia i significati del significato. All’artista si chiede – per l’ennesima volta – se la sua voce possa essere una via percorribile per rendere nuovamente sensibile agli oltraggi l’umanità abbruttita dalla disumanità di questi anni. Il discorso di partenza è ancora legato alla responsabilità dell’artista, al senso dell’arte oggi, alla sua esistenza. A questa questione immutabile e cruciale, che sembra essere ancora aperta e vitale dopo più di mezzo secolo, l’arte contemporanea risponde scegliendo la strada della complessità creativa. Matrice condivisa rimane la scelta di dare accesso a un’ipotesi di disperazione, di creare opere che sfiorino il vuoto, suggerendo l’abbandono recente di una presenza, che scelgano la frammentarietà come espressione di una vacuità pensante. Il frammento è l’espressione di una visione insopportabile sulla quale non è possibile fermarsi più a lungo per non impazzire; è l’accettazione dell’abisso, di un fallimento incomprensibile e di una caduta immeritata. L’arte esprime oggi una vitalità a cui è stata totalmente tolta l’aura di salvezza, in cui trionfa un principio negativo. Ma nonostante ciò sceglie di non tacere e di rimanere vitale.

Quello che si augura Macel è la possibilità di far scaturire da questa Biennale la nascita di un nuovo Umanesimo che non sia una scelta isolata. Per questo, i curatori dei diversi padiglioni dovranno sapere incanalare i barlumi della vitalità artistica dei propri Stati verso una presa di posizione in senso positivo. Per il Padiglione Italia, questo compito è stato affidato a Cecilia Alemanni, già curatrice del programma artistico della High Line di New York. Il suo progetto, oltre ad annunciarsi ambizioso e innovativo, è volto a valorizzare il ruolo dell’artista nella società contemporanea. Solo tre gli artisti scelti – si tratta di Giorgio Andreotta Calò, Roberto Cuoghi e Adelita Husni-Bey – che presenteranno i propri progetti nei primi mesi di questo 2017. La scelta di un numero esiguo di artisti è stata dettata dalla volontà della curatrice di allinearsi alle scelte internazionali, preferendo approfondire il lavoro di tre artisti, piuttosto che dare una visione incompleta e parziale dell’arte contemporanea in Italia.

Non solo per l’Italia ma anche per gli altri padiglioni sono stati scelti curatori coraggiosi e interessati a mostrare spaccati significativi dell’arte di un paese. Un esempio su tutti è Adrian Heathfield, che si occuperà del padiglione di Taiwan portando il lavoro di Tehching Hsieh. Hsieh è un importante artista concettuale e performativo, che nelle sue opere e azioni (che spesso hanno avuto la durata di un anno) ha sviluppato temi quali: l’autodisciplina, l’alterazione fisica, le nozioni di libertà, la visibilità e la natura delle relazioni umane. Quello che si vedrà a Palazzo delle Prigioni saranno opere mai viste in precedenza, ma anche i suoi lavori più importanti che per la prima volta saranno esposti tutti insieme. Il Padiglione Nordico, invece, sarà curato da Mats Stjernstedt, che ha pensato ad artisti quali Siri Aurdal, Nina Canell, Charlotte Johannesson, Jumana Manna, Pasi “Sleeping” Myllymäki e Mika Taanila, per creare una sorta di specchio e di mappa delle connessioni tra diverse culture, che sostituiscono i confini reali di nazioni e regioni diverse. Oltre a un forte riferimento sociale e politico, le istallazioni di questo padiglione avranno una forte connessione con gli elementi dello spazio reale ma anche digitale.

A rappresentare la Germania sarà l’artista in ascesa Anne Imhof, famosa per le sue lunghe performance e reduce dal progetto monstrum Angst. A scegliere la performer è stata la curatrice del Padiglione Tedesco Susanne Pfeffer, già direttrice del museo Fridericianum di Kassel.

Il Padiglione Svizzero, invece, a sorpresa parlerà di un grande artista svizzero Alberto Giacometti. Il curatore Philipp Kaiser ha deciso di omaggiare il grande scultore all’interno della mostra, intitolata Le donne di Venezia – dal nome del gruppo scultoreo che Giacometti mise in mostra nel Padiglione Francese nel 1956 – che svilupperà il legame tra i concetti di politica culturale e identità nazionale.

A rappresentare la Francia sarà Xavier Vilhan che ha preannunciato la propria volontà di creare un’installazione site specific che racchiuderà l’intera superficie del padiglione.

Valentina Petter

                                                                                                                          

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