Amica e compagna di partito: Erica D’Adda ricorda Laura Prati

Martedì 1 luglio a Cardano al Campo si svolgerà la commemorazione ufficiale della sindaca del Pd, scomparsa l’anno scorso. Queste le parole scritte dalla senatrice Erica D’Adda, per anni amica e compagna di lotta di Laura Prati

30 Giugno 2014
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Pratiricordo

La prima sera che ci siamo parlate davvero è stata quella in cui ritornavamo da una serata dell’assemblea provinciale delle donne dei Democratici di Sinistra. Ci prendevamo le misure, perché sapevamo entrambe che gli uomini ci avrebbero giocate l’una contro l’altra.

E sapevamo entrambe che non l’avremmo permesso.
Ma non ci conoscevamo. Poi ci siamo perse nella notte, in un dedalo di strade scure, e la tua risata cristallina, la mia serenità con te vicina hanno sciolto il ghiaccio.
Ci siamo capite. Ognuna ha seguito la sua strada, rispettando quella dell’altra.
Sempre insieme: ai congressi nazionali, nel Pd all’assemblea nazionale, nel partito provinciale. A fianco a fianco, seguivamo i nostri interessi, senza sovrapporci.
Poi hai deciso di fare le primarie a Cardano. Non ti volevano Sindaca. Troppo di sinistra, troppo di parte. Avremmo perso.

Il partito cittadino si è spaccato e sono arrivata io, commissario, responsabile provinciale degli enti locali. Io a fare le trattative coi partiti, a guidare quei direttivi e quelle assemblee in cui partivamo sotto e si usciva vincenti.

Hai chiesto le primarie. Ci rivedo ancora, con i nostri mariti, quella notte:” decidi Laura, qui ci giochiamo tutto, o la va o la spacca. O si cambia la politica o si torna alla nostra vita, sia che molliamo adesso sia che si perda.”. Potevi mai fermarti, tu?

Ericadadda

Le hai vinte di un solo voto, le primarie. E quella campagna elettorale, con troppi contro, le notti al telefono, gli scoramenti… e la mattina sempre quel sorriso, sereno, limpido e vagamente indecifrabile ai più. Le tue frasi scandite con calma: precise, sicure, attente.
Sapevo che ce l’avresti fatta. Molti dei partiti erano venuti alle primarie a votarti contro. Eppure mamme, nonne, maestre, donne, immigrati e immigrate avevano votato per te.
Sì certo, una lista fatta di pezzi diversi. Tu però eri il collante, la testa, la forza. Ne hai fatto qualcosa di coeso.

Quelle giornate insieme, facce al vento per dimostrare che eravamo forti. Che tu avresti vinto.
Le notti a parlarci, di tutto un po’, perché anche il sorriso più bello s’incrina davanti alla cattiveria, all’ottusità e al tradimento.
Hai vinto: sono tornati per te i cittadini. Hai vinto come nessun altro prima, anche se un pezzo di coalizione precedente ti aveva mollato.
Eri la Sindaca: guai a non usare il femminile. Dal mattino alla sera. Sempre presente, per un anno intero.
Senza dimenticare le cose per cui avevi lottato.
Senza dimenticare mai la tua famiglia straordinaria.
L’ultima sera che ci siamo viste hai organizzato per me, la “senatrice”, una serata sul Femminicidio alla festa del Pd della Schiranna, che dura tre mesi, nel padiglione che oggi porta il tuo nome. Femminicidio: un tema a te caro quant’altri mai. Sul piazzale, uscendo, mi hai letto negli occhi quasi tutto. A mio marito hai detto: “Non preoccuparti, è forte, ce la farà”.
Pochi giorni dopo ti sparavano. Il sabato ero subito da te, ti ho parlato, ci siamo abbracciate. Eri stanca e bella. Ero certa che ce l’avresti fatta? Non lo so. Uscendo ti ho rimessa sdraiata e ti ho baciato le mani.
Pochi giorni ancora e il viaggio a Varese, per un piccolo intervento che doveva sistemare tutto; in noi quello strano timore, quel malessere indecifrabile. E poi Pino che telefona in Senato e piange, piange, piange quel martedì sera.
Laura muore. Laura muore!!!! Imbambolati, atterrati. Continuamente al telefono per le notizie. Forse Laura ce la fa, forse ce la fa. E l’altra mazzata, ancora: resterà tetraplegica, per sempre! Solo quegli occhi belli, azzurri, incantati avresti mosso.
Le strade di Roma le ricordo opache e informi, il dolore rende insignificante anche la città eterna. Il velo sugli occhi la confondono.
E sapere della tua lucidità, delle tue lacrime, della tua consapevolezza! Qualcosa si strappa dentro.
Chi ha spento la spina? Dio o tu? Tu, non ho dubbi.
Tuo figlio Massimo e tuo marito Pino hanno finito di leggerti il libro che avevi in ospedale.
L’ultima notte con te.
Perdonami cara, perdonami: ora che sai che quella notte nera, quella notte impossibile e scura io ho corso, io c’ero! E non ho fatto in tempo. Non mi hai aspettata.

La sala in cui ti commemoreremo quest’anno è la stessa in cui la tua bara è rimasta a lungo, ricevendo persone importanti e persone umili. Poi ti hanno portata via.
Via: che parolona!
Oggi con tuo marito e il mio stiamo a guardarti nella foto al cimitero, e tu sorridi, e sei lì. E noi come scemi a parlarti, e a risponderti. In fondo siamo sempre quattro.
Quanto vorrei non averti sostenuta. Quanto vorrei che avessi perso quelle primarie.
Chi se ne frega, oggi basterebbe uno squillo veloce e saremmo a ridere da qualche parte, a comprare libri e ascoltare musica..
Poi penso all’”associazione dei migranti per Laura Prati” e la scuola in Bangladesh.
All’esempio che sei diventata. Ai valori che lasci a chi capisce.
Doveva andare così. Gli occhi azzurri del tuo ragazzo, Massimo, me lo confermano.
Ha preso sulle spalle lo zaino in cui sta tutta la tua eredità.
Saprà trovare la strada giusta per dargli un senso.
E per darlo a questa vicenda, che sembra non averne nessuno. Che per qualcuno di noi non ne avrà mai nessuno.
A me restano le tue mani. Bianche e belle, che ribacio ancora. Verrà la morte e, se avrà quelle mani, non farà paura.

Erica D’Adda
Senatrice del Pd

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