
I fatti sono noti e ripresi da diverse testate nazionali, lunedì, durante il minuto di silenzio per commemorare le 129 vittime degli attentati di Parigi, alcune studentesse di religione islamica frequentati l’Istituto tecnico Daverio di Varese hanno lasciato l’aula.
A fronte di un fatto simile, che ha una valenza simbolica da non sottovalutare, s’impone, ancora una volta, una seria riflessione sul valore dell’integrazione nel nostro Paese.
Da troppo tempo, anche complice un’ideologia ben definita, l’integrazione viene definita come assoluto, imposizione che non ammette sgarri e repliche, non tanto da colui che si integra quanto dal popolo con cui essa avviene.
Ed è proprio in nome di questo assoluto che abbiamo deciso, consapevolmente o meno, di sacrificare buona parte della nostra identità, immolando le nostre radici culturali in nome di un non ben specificato “rispetto per l’altrui sensibilità”.
E questo è uno dei punti focali che pochi hanno avuto e hanno il coraggio di analizzare con oggettiva serietà, che Paese è quello in cui si fa rimuovere il crocifisso nelle scuole, si annullano visite scolastiche a mostre d’arte sacra, si taccia la Divina Commedia di islamofobia, si permette, anche quasi giustificando, di boicottare il ricordo di 129 morti nel cuore dell’Europa?
Che Paese è quello che si presta alla sistematica cancellazione della propria cultura e della propria identità?
E’ un Paese che non ha futuro, è un Paese che forse sa accogliere ma sicuramente non sa integrare. Non sa integrare perché per farlo ha deciso di annullarsi, di tollerare ogni sfregio, anche ai propri morti, perché incapace di apprezzarsi e comprendersi davvero cerca di appiattirsi, di assottigliarsi, prova a tagliare le proprie radici nell’illusione di cancellare ogni differenza verso culture differenti che all’opposto non sono disposte a fare passi indietro, o meglio verso una vera integrazione.
Il mio non è un pensiero strettamente politico, non è un’idea che ha colore di parte, è un discorso meramente culturale così come “culturale” è la risposta, in realtà un interrogativo, che vorrei porre alla Dirigente Scolastica dell’Istituto Daverio.
A domanda sull’uscita dall’aula delle studentesse rispondeva che “Il loro gesto è stato una richiesta di aiuto a capire quale sia la discriminante nelle commemorazioni dei morti e il nostro compito è quello di educare e formare e raccogliere gli interrogativi posti dagli alunni”.
Secondo questo logica è quindi lecito boicottare la Giornata della Memoria in ricordo delle vittime dell’Olocausto perché non ve n’è una apposita per la commemorazione del genocidio armeno?
No cara Dottoressa, la “Memoria”, qualunque essa sia, non si può
boicottare, e spiegarlo è anche suo compito.
In rappresentanza dei giovani di Forza Italia
Giacomo Tamborini