L’esposizione, organizzata dal Centro Culturale Augusto Caravati e visitabile fino al 29 aprile, si propone di testimoniare la presenza, in Provincia di Varese, di attivi e interessanti artisti figurativi, plastici e digitali.
E’ per merito di Augusto Caravati, ideatore del Centro Culturale Camponovo del Sacro Monte di Varese, che è stato possibile organizzare questo primo evento artistico che ridà vita a Santa Maria del Monte. Caravati, artista autodidatta, si dedica da anni con serietà, fantasia e creatività all’arte plastica e alla scultura e a lui è dedicata la prima sala dell’edificio ristrutturato.
La creatività e l’immaginazione sono proprietà fondamentali per l’artista, attraverso le quali la sua mente riesce a trasfigurare e ad approfondire stimoli e impulsi intorno a lui e dentro di lui, e oggi sono spada e scudo in contrapposizione a un mondo globalizzato in continuo mutamento e trasformazione, con i suoi nuovi culti e i suoi nuovi miti, come la logica del consumo, la dipendenza da mondi virtuali e l’omologazione di massa. La purezza e la vitalità del sentimento artistico vibrano di ricordi antichi e di istanti misteriosi – fulcro e centro dell’ispirazione –, e stimolano in noi riflessioni intime e approfondite sul concetto di realtà interiore, di passato, presente e futuro, di coscienza e tempo, di razionalità ed emotività, e sul senso della vita e sul destino dell’uomo. Sette linguaggi artistici a confronto, sette diverse vie espressive come multiformi, enigmatici e disincantati viaggi nello spazio-tempo tra pittura, scultura e lavori digitali, tra memoria e fantasia.
Oggi, nei locali suggestivi, lucenti e al tempo stesso arcaici, del ristrutturato Centro Culturale Camponovo – misterioso genius loci –, possiamo osservare sculture, ceramiche, dipinti, collages e installazioni di originali interpreti del mondo artistico contemporaneo: Aldo Ambrosini, Luca Lischetti, Virginia Monteverde, Silvio Monti, Giorgio Robustelli, Vito Scamarcia e Giorgio Sovana.
La memoria del tempo e la ricerca dell’armonia nell’istante che fugge, risuona anche negli scritti di Italo Calvino quando Palomar riflette sulla metafisica dello scorrere, inafferrabile e indicibile, del tempo: – Se il tempo deve finire, lo si può descrivere, istante per istante, e ogni istante, a descriverlo, si dilata tanto che non se ne vede più la fine –. Tuttavia per trovare la strada è necessario prima perdersi, recita un aforisma orientale. Solo così si può arrivare, con la punta dei piedi, sulla vetta del possibile, nel mondo del potenziale e nel golfo dell’immaginazione proprio nel momento in cui il tempo sembra fermarsi.
Le opere che gli artisti qui ci propongono tra finito e infinito, tra immediatezza e lento scorrere del tempo, tra materia e colori, ci permettono di assaporare e contemplare nuove visioni, alternative interpretazioni della realtà, ma per fare ciò occorre fuoriuscire dai binari prestabiliti e ordinari del tempo e dello spazio.
Nella dimensione atemporale e di un altrove, che risulta Non corporeo né incorporeo; non da né verso; il punto fermo là è danza, ma non arresto né movimento. E non chiamatelo fissità il luogo dove passato e futuro sono uniti (“La Terra desolata”, Thomas Eliot) il viaggio si intraprende come un’antica arte. E viaggiare con il proprio spirito e la mente aperta e ricettiva in questa fortezza medioevale, palazzo, labirinto e giardino, nel tempo degli artisti, ci fa partecipi della loro continua ricerca – aspirazione e inquietudine –, tese a lasciare un segno, un messaggio dentro di noi, vale a dire con l’augurio di fare vibrare una nota intima nel nostro io e nella nostra anima, nel breve istante di un momento, che però può diventare un eterno presente, la memoria del tempo