Un monologo appassionato per raccontare la vita della scultrice Camille Claudel. La drammaturgia, liberamente tratta dalla corrispondenza personale dell’artista, è stata realizzata da Chiara Pasetti.
Lo spettacolo vuole raccontare la scultrice geniale e la donna appassionata che fu Camille Claudel (1864–1943).
Personalità inquieta, irriverente, incline a violente passioni, condusse un’esistenza interamente dedicata alla sua arte, svolgendo un mestiere da uomini e legandosi sia artisticamente sia sentimentalmente al maestro della scultura francese Auguste Rodin.
La fine della loro relazione segnerà un distacco definitivo, irreversibile, che si riverbera anche nelle opere di entrambi. Mentre il suo nome, finalmente, comincia ad emergere, e il suo talento viene riconosciuto, Camille si chiude in un isolamento carico di manie di persecuzione, distruggendo molti suoi lavori. Abbandono, rabbia, amarezza, solitudine, frustrazione, delusione, amore ferito, odio, senso di «qualcosa di assente» che sempre l’aveva tormentata.
Tutto questo confluisce in una psicosi paranoica per la quale la madre e il fratello Paul ne chiedono l’internamento in un asilo per alienati mentali. Un ricovero che pare essere “temporaneo”, e che la vedrà trent’anni chiusa tra le mura del manicomio di Montdevergues, presso Avignone; non scolpirà più una sola opera dal momento del suo ingresso.
Morirà in manicomio, nel 1943. Sola, abbandonata da tutti. Nemmeno il suo nome nella fossa comune, ma un numero di matricola: 1943‒392.
Impossibile capire di chi si trattasse.