Busto Arsizio, Comunità Famigliare lancia l’allarme sulle “nuove povertà”

Una riflessione di Massimo Crespi, fondatore della realtà associazionistica che si occupa di promuovere la solidarietà e l’aiuto alle persone in difficoltà, sui problemi emergenti nella società di oggi. Che vedono sempre più persone finire preda del disagio sociale

16 Luglio 2014
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Non riusciamo a finire di parlare di nuove povertà che già si sente delle povertà assolute. È di questi giorni il rapporto che dichiara questo significativo raggiungimento: un italiano su dieci non riesce più ad acquistare beni e servizi di prima necessità; sta alla povertà assoluta.

Già le nuove povertà si aggiungevano alle vecchie: non solamente quelle di tipo psicologico, relazionale, comportamentale ed etico o spirituale dunque, ma anche di tipo materiale, economiche, lavorative; ed ora quelle assolute, che riguardano proprio tutti infine, tutti coloro che, diciamo così, soffrono per qualche vario motivo. Queste le sperimentiamo, le proviamo (quasi) tutti.

Che fare? Non crediamo purtroppo nelle soluzioni di chi ci rappresenta, di chi ci governa, nell’istituzione e nel pubblico rimedio; non ci crediamo, pur continuando a sperarci, a far sì che qualcuno dentro queste categorie ci ascolti, ci consideri, si faccia aiutare ad aiutarci imparando l’arte della politica, che è nobile. Di ritardi, di lentezze, di inciuci si muore, e non possiamo permettercelo così stremati come siamo, davvero.

Crediamo però sempre più convintamene nell’arte, pressoché esclusivamente privatistica, della condivisione e del coinvolgimento personale, fonte di cambiamento rapido, di risoluzioni che non lasciano il tempo che trovano, che non accontentano chi già gode e basta, ma anche gli altri, i sofferenti.

Vi sono degli esempi, storici, di qualcuno che promuove, che trascina, che fa da maestro sul come fare; qualcuno che fa prendere coscienza, consapevolezza a tanti, del fatto quotidiano chiamato opera. C’è il Papa romano come c’è Pietro Magistrelli in Busto, o se preferite laicamente ci abbiamo quella faccia da alcolizzato di Gino Strada, quelle facce da anonimato degli operatori dell’AIAS cittadina, quelle molte facce da bravi ragazzi dei Volontari in città, volontari maiuscoli. Sappiamo che cosa sa fare la forza della bontà, dell’ingegnosità che trova le soluzioni, inventandosi quotidianamente e dappertutto la carità.

Noi di Comunità Famigliare crediamo tuttavia che buona parte delle problematiche dei poveri, di noi poveri, si possano risolvere senza quasi spostarsi da casa, senza troppa fatica, sacrifici, rinunce. E come fare? Quei signori sopra citati s’impegnano senza misura! Ci spieghiamo meglio. Non occorre spostarsi troppo lontano per avvicinarsi ai problemi di chi sta male. È sufficiente considerare quelli dei nostri vicini, di chi ci abita accanto o giù di lì. Il vicinato, parliamo del vicinato, ricco di gente che vive delle difficoltà, anche notevoli, senza che lo sappiamo. Se lo sappiamo, sappiamo pure quanti e quali disagi popolano magari le case fuori dalla nostra, appena fuori. Il nostro operare potrebbe essere sintetizzato con uno slogan, efficacemente, se diciamo di trasformare il vicinato in vicinanza. Sì, sempre di vicini si tratterebbe, ma di vicini che si fanno vicini, che si avvicinano quando giungono richieste di vicinanza, di aiuto. Pensiamo di far sì che il vicinato si trasformi in quella vicinanza che già sperimentiamo, se ci riflettiamo, ogniqualvolta affrontiamo le piccole questioni che sono regalare, cedere dei vestiti, dei giochi inutilizzati nelle mani delle mamme coi bimbi piccoli che vediamo dalla finestra; che sono offrire delle pietanze cucinate con cura ai vecchi inabili non più capaci di cucinare con attenzione che incrociamo sulla stradina comune, e sono visitare chi sta male dentro le mura attaccate alle nostre e che sentiamo lamentarsi in ogni momento.
Lo facciamo? La proposta, da allargare, è seguire quell’istinto che ci porta alla porta del vicino che ha bisogno; ogni volta che si presentano dei problemi. I piccoli gesti, fatti dal vicinato che si schiera a tutto campo, divengono grandi gesti che cambiano le cose, le situazioni di marginalità, di privazione del bene e del diritto ad essere servito dalla città, dalla società; diciamo noi dalla comunità…

Attenzione particolare è da tenere con chi ci abita di fianco ma non parla l’italiano, non è proprio di pelle bianchissima, ha tantissimi parenti che schiamazzano, che riempiono l’aria di odori stranieri, particolarmente penetranti, invadenti. Però questa probabile famiglia del Maghreb si tiene a bada facilmente se c’è un esercito di vicinanza che si mobilita, che si accorda, si dà da fare. È la nostra utopia, piccola, tuttavia non priva di buon senso, di fondamento. Senz’altro si dirà che non sempre si sa che esistono quei disagi, quelle povertà così vicine; e che spesso si sanno però non è possibile provvedere per le chiusure, le cattiverie ed il malanimo di chi, in teoria, avrebbe bisogno di noi. Si dirà, certo, però poi si potrà provare lo stesso, persino quando risulta suonare il campanello del vicino che non si conosce l’azione più difficoltosa in assoluto, citofonargli per dirgli che siamo noi i suoi vicini, che vogliamo presentargli noi stessi. Si dirà che nemmeno ci si saluta. Appunto questo rappresenta l’inizio della nostra vicinanza. Sappiamo che può farci grandi, nel prossimo futuro.

Ci abbiamo riflettuto pochi giorni fa, alla festa di Comunità Giovanile, presenziando alla serata dove si discuteva delle nuove povertà a Busto Arsizio. Pochi metri più in là arrivava ad ascoltare l’eco delle nostre parole chi, mamma sola di tre figlie minori, di cui la più piccola tetraplegica, si disperava perché la mattina seguente non avrebbe potuto portare la piccolina a seguire le terapie riabilitative di cui necessita per vivere: non aveva più una macchina, sufficientemente grande per farci stare loro con la carrozzina della piccola disabile, e nessuno gliela avrebbe prestata quel giorno. Quel giorno sarebbe stato d’impotenza, di rabbia, di dolore. Dove stava la vicinanza? Stava ancora nel vicinato più lontano. Ma molti di noi, ne sono certo, le avrebbero dato uno strappo se l’avessero saputo…

Massimo Crespi
Responsabile Comunità Famigliare

 

 

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