
La ricostruzione della Procura di Milano, titolare del caso Macchi da due anni dopo il lunghissimo e infruttuoso periodo d’indagini varesino, fa risaltare dettagli letteralmente agghiaccianti sull’omicidio della giovane studentessa di Comunione e Liberazione, avvenuto a Cittiglio nel gennaio 1987.
Nel motivare l’arresto del presunto assassino Stefano Binda, i magistrati fanno capire come il sospettato sia salito sulla macchina della ragazza il 5 gennaio nei pressi dell’ospedale di Cittiglio, raggiungendo poi una zona poco distante in cui la Macchi è stata violentata e uccisa: l’assassinio deriverebbe da una sorta di perversa “punizione” inflitta dal killer per essersi concessa. Tra gli indizi a carico del sospetto, il ritrovamento di alcuni libri sulla tossicodipendenza nella borsa di Lidia che probabilmente voleva aiutare l’amico, anch’egli del giro di CL, per uscire dai ben noti problemi di eroina; l’omicidio deriva inoltre non solo dall’idea di punire la ragazza per aver subito la violenza sessuale, ma anche dalla paura che la stessa raccontasse tutto ai compagni e alle guide spirituali del movimento. Ma come si è arrivati a questo punto solamente 29 anni dopo?
Nel 2014 la Procura di Milano ha reso pubblico, tramite testate giornalistiche locali e programmi tv nazionali, il delirante biglietto che, in un azzardato stile poetico, ricostruisce quella notte di gennaio: la lettera anonima fu recapitata alla famiglia Macchi pochi giorni dopo il fatto. Una donna, che conosceva entrambi i protagonisti, ha riconosciuto nella calligrafia e nello stile quelli del Binda, segnalando il tutto alla Polizia: da lì sono partite perizie calligrafiche e indagini, che hanno portato tra l’altro a trovare nella casa del sospetto a Brebbia un ulteriore foglietto, scritto da lui stesso, che recita “Stefano è un barbaro assassino”. Da mesi, ormai, gli inquirenti avevano nel mirino Stefano Binda, anche se l’arresto di ieri mattina ha ovviamente stupito tutti.