Varese, Casa Frasconi, ultimo esempio di Quattrocento lombardo, rischia di crollare

L’edificio storico di Biumo Inferiore si sviluppa su tre piani, con broletto, medaglioni, intonaci originali e stralci di fregi residui che risalgono al 1498

10 Aprile 2014
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Sopravvissuto ai secoli non ha retto all’ultimo ventennio e ora rischia di crollare del tutto sotto il peso dell’incuria. D’altra parte dell’ultimo esempio di Quattrocento lombardo rimasto a Varese, nonché uno dei pochissimi originali in Lombardia, la Casa Frasconi che si trova nell’omonima via a Biumo Inferiore, quasi nessuno si ricorda.

 

Si tratta di un immobile accessibile dal cortile al civico 10 di via Frasconi lungo la quale si trova un filone di appartamenti popolari costruiti sulle macerie dei vecchi manufatti, demoliti a metà anni ’80, con forme e colori identici agli originali. Oggi ospitano le case Erp di edilizia popolare e proprietà comunale, la sede di alcune associazioni, la sezione annonaria della polizia locale del Comune che utilizza come parcheggio proprio il cortile su cui è affacciata l’antica Casa Frasconi.

L’immobile si sviluppa su tre piani compreso il piano terra, con broletto, medaglioni, intonaci originali ancora integri e con stralci di fregi residui datati 1498.
Risulta l’edificio più antico del borgo e probabilmente, nel complesso, il più antico del capoluogo bosino, almeno tra quelli rimasti immutati nei secoli per forma e per i volumi. Nonostante il gravissimo stato di degrado mostra ancora una forte impronta del suo trascorso di nobiltà. In quell’area infatti sorgevano le proprietà delle famiglie Orrigoni-Frasconi; oggi la loro testimonianza più antica sta andando in frantumi. È già stato perduto negli ultimi tempi il Cristo affrescato su un tavolato al primo piano, visibile almeno fino a dieci anni fa: si è frantumato crollando insieme al pezzo di pavimento su cui posava. La scoperta è dell’ingegner Pietro Romeo, professionista di Varese che ha lavorato ad una miriade di progetti sul territorio cittadino nel corso dell’ultimo mezzo secolo e che adesso lancia un appello: “Mettiamoci mano subito per salvare quello che resta o farà la fine del castello di Belforte”.

La differenza rispetto agli altri immobili di pregio che cadono a pezzi, a suo giudizio, sta nella rilevanza sia locale sia generale degli stessi. La Casa Frasconi in particolare vanta ancora intonaci originali, porzioni di fregi quattrocenteschi, ma soprattutto il broletto affrescato all’ingresso apparentemente in discreto stato di conservazione, guardando il resto. E’ stata abitata fino agli anni sessanta, poi caduta in disuso e acquisita dal Comune negli anni Ottanta quando è iniziato il rifacimento dell’area a Biumo inferiore da destinare all’edilizia popolare.

Tutto è stato rifatto ex novo mantenendo le forme antiche, salvo quell’immobile. Forse perché essendo vincolato dalle Belle Arti richiedeva troppi soldi, forse perché si prestava poco ad essere trasformato in appartamenti. All’interno i soffitti e i pavimenti sono ancora originali, tutti in legno, ma dove non sono crollati sono al limite della capacità di reggere. Basta passare la mano sul muro inoltre per veder cadere brandelli di intonaci. “Questo è il modo con cui conserviamo il patrimonio storico – denuncia Romeo – passando mesi a dibattere su una vecchia caserma, facendo polemiche inutili sul castello di Belforte, e poi lasciando crollare le testimonianza uniche come questa dopo averle lasciate depredare degli elementi di valore”.

Qualche intervento era stato fatto a dire il vero. All’interno, sui muri, si notano le tracce di verifica degli strati che costituiscono le pareti. Nel 1988 una ditta aveva effettuato una indagine e poi redatto un progetto commissionato dal Comune; nel 1990 era stato rifatto il portale in pietra. Del seguito non si sa nulla. “I soldi per salvare questi beni esistono – dice Romeo – bisogna avere un po’ di fantasia per trovarli. Chiediamo un prestito alla cittadinanza e lo restituiamo in dieci anni al 2percento. Facciamo dei tagli altrove. Ma facciamoci venire un’idea prima che sia troppo tardi”.

 

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