Quando Berlinguer venne a Varese

L’11 giugno 1984 moriva, pochi giorni dopo il malore che lo aveva colpito durante un comizio a Padova, Enrico Belinguer. Il consigliere comunale di Sel Rocco Cordì, all’epoca dirigente provinciale del Pci, ricorda quando nel 1981, il segretario nazionale fu ospite nella Città Giardino per una manifestazione

11 Giugno 2014
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Berlinguer

Oggi, 30° anniversario della morte di Enrico Berlinguer – Segretario nazionale del PCI dal 1972 al 1984 – provo a delineare alcuni tratti della sua persona ripercorrendo con la memoria i due giorni trascorsi con Lui nel febbraio 1981 quando venne a Varese per una manifestazione dedicata al 60° del PCI.

La domenica del 15 febbraio 1981 partimmo all’alba da Varese per raggiungere Torino. Il gruppo era composto da me, allora membro della segreteria provinciale del PCI e responsabile del dipartimento “economia e lavoro”, Luigi Mombelli segretario provinciale e Pino Merra capogruppo in Consiglio Comunale. Tutti e tre eravamo particolarmente tesi ed emozionati per l’incontro che avremmo avuto qualche ora dopo con Enrico Berlinguer ed anche un po’ preoccupati per la riuscita della manifestazione che il giorno dopo si sarebbe svolta a Varese.

Cominciarono così i due giorni indimenticabili in cui ho avuto la fortuna di seguire da vicino Enrico Berlinguer.

A Torino giungemmo in tempo per assistere all’intervento conclusivo di Berlinguer alla conferenza sulla Fiat promosso dal PCI torinese. Mentre spiegava le ragioni che lo avevano portato qualche mese prima davanti ai cancelli della Fiat per esprimere piena solidarietà ai lavoratori in lotta (l’iniziativa aveva suscitato grandi polemiche) e le proposte del PCI per superare la crisi dell’auto e non solo, si avvertiva nel parlare una certa difficoltà, mentre il suo volto appariva un po’ sofferente. Poco dopo Antonio Tatò, il suo segretario particolare, ci spiegò che nel pomeriggio di sabato era stato colpito da una forte colica renale con dolori acuti protrattisi per tutta la notte. Nonostante però gli avessero consigliato di rinunciare all’intervento, Berlinguer tenne fede al suo impegno e parlò per quasi un’ora.

Ci incontrammo subito dopo. Una stretta di mano e un sorriso, come tra vecchi amici che si conoscono da tempo. In realtà era la prima volta che ci si incontrava da vicino. Durante il pranzo ascoltava i commenti e le valutazioni di tutti intervenendo raramente. Ricordo che un paio di volte l’aveva fatto, forse per frenare un esuberante Fausto Bertinotti, allora segretario CGIL Piemonte, i cui toni polemici dovevano apparirgli un po’ sopra le righe. Nel pomeriggio, poco prima di ripartire per Varese assistemmo ad un episodio alquanto significativo. Due giovani sposi che avevano festeggiato il loro matrimonio in un altro salone dell’albergo che ci ospitava, si erano timidamente presentati al nostro gruppo per chiedere se era possibile fare una foto con Berlinguer. Antonio Tatò li invitò a pazientare ancora un po’ “perché il Segretario sta riposando, ma potete stare certi che il vostro desiderio sarà certamente esaudito”. Infatti mezz’ora dopo posarono felici e sorridenti per la loro foto storica con Berlinguer.

L’arrivo a Varese fu un po’ movimentato perché davanti al City Hotel, dove avrebbe alloggiato Berlinguer, gli uomini della polizia – con tanto di mitra spianati – bloccarono tutte le strade per consentire il fermo dell’auto proprio all’ingresso dell’hotel. Una decisione in contrasto con quella concordata e che prevedeva il percorso normale con arrivo dell’auto nel parcheggio interrato dell’albergo. La nostra scelta teneva conto dell’esplicita richiesta del Segretario di fare le cose in modo tale da “non disturbare nessuno ed evitare inutili esibizioni di forza”.

In serata cenammo in un ristorante di Via Carrobbio, ma Berlinguer dovette accontentarsi di un brodino caldo perché ancora non si era ripreso completamente dal malore della sera precedente.  Più tardi in albergo volle salutare i compagni del “servizio d’ordine” da me predisposto nei giorni precedenti con la piena collaborazione dell’ANPI e altri volontari. Poco dopo venni chiamato da Tatò perché il Segretario voleva chiedermi alcune cose. Entrando nella sua stanza lo vidi seduto vicino ad una piccola scrivania sommersa di fogli. Indossava un semplice pigiama a righe che lo rendeva ancora più piccolo e magro, forse la misura non era la sua … mi chiese subito quali erano le aspettative dei compagni per la manifestazione del giorno dopo, i rapporti con il sindacato, i punti di maggiore crisi e, soprattutto, cosa ne pensavo dell’incontro richiesto dal Consiglio di fabbrica della Montedison di Castellanza. Risposi con franchezza alle sue domande sostenendo in particolare la necessità di accettare l’incontro con una delegazione di lavoratori di quella fabbrica. La loro lotta assumeva infatti una valenza simbolica perché tutto il tessuto produttivo della provincia stava entrando in una crisi senza precedenti.

In un primo tempo il CdF della Montedison aveva chiesto che l’incontro si svolgesse in fabbrica, ma da fonti sicure eravamo stati informati della volontà di alcuni di utilizzare l’evento per poi procedere alla occupazione della fabbrica. Non potevamo correre il rischio di avallare una decisione maturata in un clima di forti contrasti tra CdF e sindacati di categoria e che, in ogni caso, avrebbe esposto nuovamente il PCI all’accusa di “sobillare i lavoratori” contro il governo,sostituendosi persino al sindacato.
Una polemica pretestuosa che in realtà metteva sotto tiro la politica del PCI e la fermezza con cui Berlinguer sosteneva le lotte dei lavoratori alla Fiat come altrove. Finita la chiacchierata Tatò mi accompagnò in corridoio e, quasi scusandosi, mi chiese se potevo risolvere un piccolo problema: “Enrico ha bisogno di un paio di calze, siamo rimasti senza ricambi”. Dopo un attimo di sbigottimento, mi aspettavo un “problema” un po’ più impegnativo, gli risposi sorridendo “non preoccuparti, anche se i negozi sono chiusi faccio un salto qui di fronte dove abitano i miei e sicuramente mio padre sarà facile di cedergli un paio delle sue”.

Il mattino successivo comunicammo al CdF della Montedison la decisione di Berlinguer di incontrare una loro delegazione, ma la riunione si sarebbe svolta presso la Federazione provinciale del PCI.  Così è stato.

La mattina di lunedì 16 febbraio e buona parte del pomeriggio Berlinguer li trascorse sempre in albergo dove continuò a preparare il suo discorso con l’onnipresente Tatò e con Ugo Baduel, giornalista de l’Unità. Finalmente Baduel uscì dalla stanza per informarci che il discorso era pronto. Subito dopo ci raggiunse Tatò proponendo una passeggiata “per rilassarci un po’, però dove si possa camminare senza problemi”. Dunque, niente centro. Propongo la Schiranna. Si va, ma dopo due giri Berlinguer ci chiede “tutto qui?” panico, e adesso che facciamo? Per fortuna l’imbarazzo si scioglie quando ci pone la seconda domanda “ma quanto è distante la federazione?” (dove si sarebbe svolto l’incontro con il CdF della Montedison). Si riparte, a piedi! Nel gruppo di compagni al seguito alcuni ansimano già, prima ancora di arrivare a Bobbiate! Ma Berlinguer procede rapido seguito dall’improvvisato corteo con tanto di poliziotti armati.  La cosa più importante è che sembra essersi ripreso bene dal malore di ieri. E qualche ora più tardi basteranno le prime notizie che giungono dal Palazzetto dello Sport di Varese, dove si terrà la manifestazione, a sciogliere come per incanto tutti i timori e le preoccupazioni della vigilia. Ci informano, infatti,che il Palazzetto è già pieno stracolmo. Bene, adesso possiamo andare.

Ricordo ancora le migliaia di persone assiepate in ogni angolo del Palazzetto dal parterre alle gradinate e dai corridoi interni fino al piazzale. Sì, perché neppure il Palazzetto era sufficiente a contenere tutti, un evento unico per una manifestazione politica. Non era successo prima e non succederà mai più neppure dopo. E quando Berlinguer apparve sul palco lo spettacolo che si offriva alla nostra vista era davvero straordinario: una marea di persone in piedi, un boato travolgente di applausi slogan e canti; migliaia di braccia protese verso il palco quasi a voler realizzare un abbraccio collettivo all’uomo e al leader più amato: Enrico Berlinguer.

Al termine della manifestazione dovetti stargli a fianco per trattenerlo evitando che volasse giù dal palco, tante erano le persone che si accalcavano per stringergli la mano, strappare un autografo o per regalargli un sorriso accompagnato da un semplice, ma intenso “Ciao, Enrico!”.

Stanchi ma soddisfatti trascorremmo poi il fine serata presso la casa accogliente ed ospitale come sempre, di Elga Montagna e Renzo Comotti. Anche Berlinguer adesso appariva rilassato e contento, rispondeva alle nostre domande con pacatezza e con un tono di voce gentile e rassicurante, ma molte di più erano quelle poste da Lui, perché voleva sapere del nostro impegno, del consenso e delle critiche rivolte al partito, della realtà varesina… voleva sapere! E se qualcuno avesse osservato la scena a distanza non avrebbe mai potuto immaginare che quell’uomo al centro della tavolata così pacato e gentile era il Segretario del più grande partito comunista dell’occidente.

Rocco Cordì
Consigliere comunale Sinistra Ecologia e Libertà

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