Ora il franco svizzero fa paura: terrore licenziamenti

E’ sempre più concreto il rischio di una spirale recessiva che comprimerebbe i consumi in Svizzera, con ripercussioni sui nostri frontalieri

27 Gennaio 2015
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euro-franco

Che ripercussioni avrà l’apprezzamento del franco svizzero sull’euro? Se ad una prima, superficiale analisi a trarne i maggiori vantaggi sembrava potessero essere i 60mila frontalieri che ogni giorno si recano in Svizzera a lavorare, ora la situazione si sta gradualmente ribaltando, mettendo a rischio stipendi e posti di lavoro.

Venerdì sera, durante la puntata di “Nessun dorma”, il talk show di Espansione tv, dedicata alle conseguenze del nuovo cambio franco/euro, è intervenuto telefonicamente un frontaliere di Sondrio: «Lavoravo in un hotel dell’Engadina – ha raccontato in diretta – Sono stato assunto il 20 dicembre e, cinque giorni dopo il pareggio tra franco ed euro, sono stato licenziato. In cinque giorni sono state disdette diverse camere da parte di clienti svizzeri che hanno preferito andare a trascorrere le vacanze in Austria». Le località turistiche della zona euro, infatti, sono diventate improvvisamente più convenienti del 20% per gli svizzeri.

Ma certamente non solo i dipendenti delle località sciistiche cominciano ad interrogarsi, con evidente preoccupazione, sulle loro prospettive lavorative: il “superfranco” non solo allontana i clienti dai negozi ticinesi, ma mette anche in serie difficoltà le imprese elvetiche che esportano le loro merci. Il rischio è un effetto domino, con una spirale recessiva da cui sarebbe difficile, poi, uscire: «E’ vero, questo rischio c’è – ha spiegato Carlo Maderna, responsabile Cisl per i frontalieri – ma nemmeno gli svizzeri possono stare tranquilli se le aziende ticinesi vanno in crisi».

Il sindacalista ha inoltre fatto riferimento, come possibile scenario, a quanto accaduto nell’agosto del 2011, quando le oscillazioni valutarie del franco sull’euro hanno portato le due monete a sfiorare la parità. «Allora diversi frontalieri erano venuti da noi dicendo che il datore di lavoro svizzero, per ridurre i costi, non avrebbe più pagato loro la tredicesima – ha ricordato Maderna – In altri casi è capitato che i frontalieri abbiano dovuto lavorare più delle 42 ore stabilite ma a parità di stipendio. O, ancora, che il loro stipendio venisse pagato direttamente in euro. Se prima al frontaliere venivano dati 1.200 franchi che equivalevano a mille euro, a parità raggiunta il datore di lavoro gli dava direttamente mille euro, spendendo in tal modo solo mille franchi. Il timore è che anche questa volta le aziende ticinesi possano ricorrere a soluzioni simili per ridurre il costo del lavoro».

Come se non bastasse, i partiti svizzeri più conservatori puntano ancora il dito contro i frontalieri e i “padroncini” italiani, ossia quegli artigiani che si aggiudicano lavori oltre il confine.
Il responsabile ticinese dell’Udc, Gabriele Pinoja, ha usato parole molto forti: «Abbiamo un governo inconcludente e litigioso. I sindacati stanno provando a portarci alla rovina. La disoccupazione reale ha raggiunto quasi il 9%. Il Ticino ha i salari più bassi della Svizzera. Vengono licenziati gli svizzeri per dare il posto a frontalieri e stranieri. I padroncini portano via i lavori ai nostri artigiani. Insomma, stiamo diventando una provincia dell’Italia».

Insomma, una situazione da cui nessuno (finanza a parte) guadagna molto.

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