
Un testo teatrale liberamente tratto dalla celeberrima tragedia di William Shakespeare, portato in scena da uno dei più grandi artisti italiani e interpretato dallo stesso Lo Cascio insieme agli attori Vincenzo Pirrotta, Valentina Cenni e Giovanni Calcagno. Scenografia, costumi e animazioni Nicola Console e Alice Mangano, musiche Andrea Rocca e luci Pasquale Mari.
A partire dall’Otello di Shakespeare, un altro Otello. Mettere in scena l’intero testo e per di più nella versione compiuta e statuaria dell’originale, appare impresa fuori misura. Così il regista, insieme per prudenza e devozione nei confronti del modello, ha cercato di cavarne un soggetto, ortodosso il più possibile quanto ai debiti (gli spunti narrativi per lo più) e ai rimandi alla fonte, ma intraprendente, sempre scontando i limiti delle forze a disposizione, nella ricerca di una via, foss’anche un vicolo (magari non proprio concluso), da aggiungere alla mappa topografica sterminata della città infinita che raccoglie le varianti, le trasposizioni, i calchi di questa tragedia candidamente misteriosa.
Fortunatamente, il fatto che l’opera di Shakespeare, pur coinvolgendo lo spazio pubblico, rapidamente converga e punti dritto al cuore di un dramma fortemente individuale, sembra autorizzare un lavoro di concentrazione e restrizione del campo d’azione. Si metteranno a fuoco soltanto alcune parti del testo di partenza, quelle che obbligano a confrontarsi con l’enigma di certe passioni umane. Saltando i preamboli e l’osservanza stretta della trama di una storia universalmente conosciuta, si osserveranno da vicino i dubbi, le contraddizioni, le debolezze dei personaggi, la loro straziante lontananza, la loro effettiva solitudine, colta solo adesso, con sguardo retrospettivo (purtroppo non profetico, troppo tardi ormai…), in quegli esordi così dolci, quando sembravano trionfare la febbre e l’entusiasmo dei primi abbracci, delle prime confidenze, dei primi sottili e garbati tremori. Aldilà del tiro infame che l’onesto Iago gioca ad Otello, è solo una serie di parvenze e malintesi il nostro universo di relazioni? Davvero anche l’amore è puro abbaglio? È forse connaturato alle passioni più travolgenti il fatto di racchiudere, nel loro cuore più intimo e sconosciuto, una luce sinistra, lama affilata che ustiona gli occhi e acceca la mente consegnandola prima al tumulto, poi al furore?