Varese, inaugurata “a distanza” la casa-rifugio per le donne vittime di violenza

Sottratta alla criminalità organizzata nel 2010 e trasformata in rifugio, la struttura rimessa a nuovo e attrezzata grazie ad una collaborazione tra enti pubblici e privati con finalità sociali oggi cerca finanziamenti per poter funzionare

16 Aprile 2014
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Casarifugio

Un’inaugurazione, a distanza, della prima casa-rifugio del Varesotto destinata alle donne vittime di violenza. A distanza, perché è necessario mantenere la segretezza del luogo, proprio per tutelare le persone che sono ospitate. Si trova nel comune di Varese, ma non era possibile il taglio del nastro in loco in quanto indirizzo dovrà essere mantenuto segreto per tutelare il più possibile le ospiti della struttura.

È apertura grazie alla Provincia di Varese, alla Prefettura, alla Fondazione Cariplo e alla Fondazione Comunitaria del Varesotto che hanno cofinanziato il progetto della Fondazione Felicita Morandi.

Può ospitare fino a 16 persone in difficoltà, oltre agli operatori che dovranno guidarle nel percorso di recupero, nei due appartamenti della capienza di sei persone e nello spazio comunitario con ufficio, sala colloqui e camera per uno o più operatori, spazi comuni (cucina, sala da pranzo, salotto) e quattro camere per altre dieci persone. L’alloggio è dedicato alla “prima” e “pronta” accoglienza, vale a dire da una settimana ad un mese di permanenza massima, e sarà aperto tutto l’anno.

Avranno priorità le donne residenti in provincia di Varese o presenti sul territorio provinciale che abbiano subito violenza fisica o psicologica e agli eventuali figli minorenni costrette ad abbandonare la propria casa per motivi di incolumità. La priorità dell’inserimento andrà inoltre a chi ha chiesto aiuto ad associazioni o ai servizi sociali dei comuni, mentre non saranno prese in carico le donne senza fissa dimora, con problemi di tossicodipendenza dichiarata e con disturbi mentali certificati.

L’intenzione è di attivare il servizio tra un mese, anche se al momento mancano i soldi per il funzionamento dell’attività. La speranza dei promotori è di finanziare quanto serve per la partenza dall’Asl, nel breve periodo, facendosi inserire nei programmi dell’ente, e al contempo di ottenere un finanziamento una tantum dalla Regione.

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