Quando resistenza fa rima con speranza

Dal palco del Cinema Nuovo di Varese un commovente Salvatore Borsellino inneggia “resistenza” al fianco dell’intellettuale più attiva in Italia: sold out per la 431° proiezione de La Trattativa di e con Sabina Guzzanti. Sabina Guzzanti mentre riprende il folto pubblico accorso al Cinema Nuovo di Varese per la proiezione del suo film documento “La Trattativa”

21 Febbraio 2015
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Trattativa

Coincidenze come quelle del 19 febbraio si trasformano in opportunità, dove le assonanze diventano rime ed i nomi dei responsabili devono essere fatti. Giulio Rossini, Antonella Buonopane e Giorgio Bongiovanni hanno messo a disposizione le Associazioni che presiedono solo per organizzare una serata “unica”. 

Il Cinema Nuovo si riempie in maniera naturale (e non solo di teste canute!). A Varese. La serata ci propone la proiezione de “La Trattativa” di e con Sabina Guzzanti, una delle poche menti “resistenti” di quest’Italia sonnecchiante, con tanto di confronto sulla trattativa stato-mafia, dai confini labili.
Se prima della proiezione si succedono introduzioni e spiegazioni del perché di una serata così “ricca” e ci si affida alla parola, parlata da giovani generazioni, dopo si assiste ad una parola fendente lunga vent’anni di storia, che distrusse il mio futuro, ormai passato, una domenica di luglio, mentre ripassavo per l’ultimo esame, che avrei sostenuto il giorno dopo con Dalla Chiesa.
La storia siamo noi, che non ci arrendiamo e ci lasciamo offendere da improperi come “il tuo rigore mi ha rotto!”. E torniamo a respirare, perché ci accorgiamo di non essere poi così soli in questa resistenza culturale.

Ci sono 400 spettatori ad assistere a questo film documento, che restano incollati alla poltrona anche durante il dibattito in sala alla presenza della regista/comica Sabina Guzzanti, del direttore di Antimafia Duemila Giorgio Bongiovanni, del Presidente dell’Associazione Le Agende Rosse Salvatore Borsellino e del Sostituto Procuratore del Tribunale di Milano Anna Maria Fiorillo.

Scopo del confronto “non solo l’analisi dei fatti e delle dinamiche proprie degli anni delle stragi”, ma anche e soprattutto “spunto di riflessione per comprendere quali siano le conseguenze di quella trattativa all’interno della società contemporanea, ancora purtroppo dominata dalla corruzione e dal sistema mafioso”.

I 108 minuti del documentario, in rigorosa unità di luogo, interpretato dalla stessa Sabina Guzzanti, Enzo Lombardo, Sabino Civilleri, Filippo Luna e Franz Cantalupo, si presentano con la dichiarazione “Siamo un gruppo di lavoratori dello spettacolo e ci proponiamo di ricostruire…”.
Artisti che si uniscono per mettere al servizio del cittadino la propria “capacità” e ricostruiscono tutte quelle informazioni che hanno attraversato dal 1992 ad oggi la trattativa stato-mafia. Con la maestria di chi ha vissuto la storia e tale da non poter essere assolutamente contestata nella sua veridicità. Anche quella storia del “Riccio”, passata in soggettiva, perché unica testimonianza.
Anche quella scorrettezza politica per cui la principale carica della Repubblica dispone la cancellazione di intercettazioni chiave.
Sabina Guzzanti ha impiegato tutti gli strumenti dell’informazione e dell’immagine per fornire una chiave di lettura degli ultimi vent’anni di connivenze e di “misteri”, come la provenienza di quei borsoni di soldi serviti per fondare un partito.

E gli Italiani non chiedono spiegazioni.

Ricostruire scenicamente i fatti in unità di luogo concede anche qualche “chicca” della verve satirica guzzantiana, quella che ce la fece conoscere e apprezzare agli esordi. E ne offre un solo fendente chiaro e mirato, battibeccando con un cinquestelle bolognese.

Sembrava quasi concordata, tanto è stata utile per sondare quanti M5S ci fossero in sala (tanti quanto i politici=2 di cui uno M5S!).
E per ricordare che il 14 novembre 2014 alla proiezione in Parlamento i politici erano assenti.
E’ un film politico La Trattativa, non civile, perché racconta come negli ultimi vent’anni sia stata creata un’Associazione a delinquere per cui i mafiosi dovessero votare in massa “quello di Canale 5, perché l’ha detto un amico nostro, Dell’Utri. Risolve tutti i problemi che abbiamo”. Una trattativa, appunto. Tra scellerati.
Durante la proiezione osservavo le reazioni dei giovani, quelli nati proprio in quegli anni: non erano annoiati, ma neppur stupefatti di ciò che a suon di bombe la Guzzanti aveva montato. Piuttosto stanchi, perché non giustifica il furto del loro futuro. Forse lo spiega, ma i giovani, la speranza di Borsellino, guardano avanti e si chiedono perché per vent’anni gli Italiani hanno votato questo sistema di cose ed ancora oggi le guardano come se fossero in tv?
Se questo documento, passato anche fuori concorso a Venezia e che da
novembre itinera con la sua comedian romana fino a questa 431esima proiezione, ricostruisce ottimamente il clima che abbiamo vissuto noi, che resistiamo al familismo amorale italiano, quello che consente a tutti i 60 milioni di cittadini di “connivere” con l’atteggiamento mafioso quotidiano, il “dibattito” invece restituisce quel senso di “speranza”: Salvatore Borsellino, fratello di quel Paolo che ci ha “inseminato” di rigore e di resistenza, si alza in piedi commosso e a mo’ di vessillo alza quel libro rosso, quell’agenda trafugata, che avrebbe svelato tutte le
scoperte dell’ultima ora. Sabina Guzzanti riprende il commovente intervento di Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, vittima di una strage de “La Trattativa” al Cinema Nuovo di Varese. Addirittura la Guzzanti lascia la sedia e comincia a filmare con un dispositivo portatile questo momento storico, in cui tutti ci alziamo in piedi, anche per dire no alle marcette della scorsa settimana, condotte al grido di “Camerati!”, sotto la guida di rappresentanti locali di quel partito, gente che giocava con i modellini
da guerra, mentre Falcone e Borsellino venivano uccisi, che non han neppure assolto agli obblighi di leva.
Questo è accaduto a Varese il 19 febbraio 2015: quattrocento cittadini sono confluiti in una sala rispondendo all’invito di Arci, FilmStudio90, Antimafia Duemila, Libera contro le mafie e il gruppo del Movimento delle Agende Rosse “Paolo Borsellino e Giovanni Falcone” Varese.

Semplicemente un segnale di resistenza, che trasforma un’assonanza in rima e ci fa sperare che Varese non sia solo nera ed ignorante, individualista e connivente.

E 400 è un numero superiore a 150 ragazzini ventenni che sfilano “allineati e coperti” al grido di “Camerati!”. Fascisti su Marte, però,è firmato Guzzanti, “lato maschile” di questa splendida famiglia di artisti (non scordiamo la più piccola sagoma di Casa Pau!), che resistono nel diffondere informazione seria in una medializzazione di “contatti” che nasconde la verità.
“Personaggi delle istituzioni che hanno partecipato a questa trattativa, l’hanno taciuta, l’hanno negata, l’hanno fatto nella maniera peggiore, come quel vile di Nicola Mancino, che nega di aver incontrato Paolo… Paolo doveva essere eliminato, perché la trattativa doveva andare avanti!… Un Presidente della Repubblica che veniva eletto ad un secondo mandato, perché era garante del silenzio sulla trattativa stato-mafia… Noi viviamo in un paese le cui fondamenta sono intrise di sangue…. Paolo amava tantissimo i giovani: i giovani erano la sua speranza!”.

Queste semplici parole del fratello di Borsellino hanno scatenato gli applausi “terapeutici” che sgorgano spontanei al Nuovo di Varese. Perché noi abbiamo assistito alla nascita di questo partito che ha protetto la mafia, da essa è stato finanziato, che ha mangiato l’Italia degli ultimi vent’anni con la complicità di tutti i suoi alleati.

E che ancora oggi “tratta” con patti che di volta in volta cambiano nomi, ma
compiono le stesse azioni.
E poi quel libro rosso di Borsellino alto sullo schermo bianco, vessillato dal fratello di uno dei pochi esempi di rigore italiani.
Ed il Cinema Nuovo si alza in piedi.
Non per commemorare i morti, ma per dimostrare che malgrado questi vent’anni di “stragi”, siamo ancora in grado di stare ritti sulle nostre gambe a gridare “resistenza”!
Questa è speranza, quella che fa pensare possibile una vita nel rigore del proprio ruolo.
Quello della resistenza.

Ombretta Diaferia 

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