La cava della Rasa potrebbe essere riaperta. La richiesta della società di riprendere le escavazione è stata già da tempo depositata in Comune.
Un fuori sacco nella giunta comunale per “opere urgenti” riaccende i riflettori sulla cava della Rasa. È stato approvato ieri il progetto definitivo per la ristrutturazione del ponte vecchio, un manufatto risalente al secolo scorso che non solo era troppo stretto per circolare in sicurezza con il doppio senso di marcia ma non garantiva più la tenuta in caso di frequente passaggio di mezzi pesanti. Pesanti come i pullman di linea che collegano il Brinzio a Varese, oppure come i camion carichi di materiali.
Per questa ragione due anni fa è stato sostituito uno nuovo costruito proprio di fianco a quello antico, al costo di 780 mila euro cofinanziati dalla Provincia. Il ponte vecchio in ogni caso è stato considerato meritevole di conservazione, tanto che la sua riapertura al transito è stata prevista grazie ad un secondo lotto di lavori dell’importo di 490 mila euro destinati al consolidamento strutturale del manufatto tutelandone l’aspetto originario. È appunto questo secondo lotto che ha appena ottenuto il via libera: a breve sarà predisposto il bando di gara per l’avvio del cantiere.
Il fatto però non è passato inosservato. Girata la voce della delibera approvata si è destata la preoccupazione di una parte dell’attuale e della scorsa amministrazione, compresi gli ex esponenti dei consigli di circoscrizione. Non vi sono infatti particolari necessità di preoccuparsi del transito frequente di carichi pesanti allo stato attuale. Al contrario, il problema di assicurare la solidità del vecchio ponte si porrebbe nel momento in cui gli escavatori dovessero tornare al lavoro alla Motta Rossa. E del resto questa ipotesi da qualche mese è ben più di uno spettro. Correva il mese di settembre 2013 quando la proprietà della cava, “La Rasa S.r.l“, ha presentato in Comune richiesta di riprendere l’attività.
La Motta Rossa è una cava definita “di recupero” e inclusa nel piano cave della Provincia: si tratta di cave non più attive ma riattivabili da parte dei proprietari cui è consentito scavare una certa quantità di materiale e di rivenderlo ricavando un utile, a condizione di utilizzare una parte rilevante dei proventi per migliorare le attuali condizioni ambientali e paesaggistiche. Il piano cave di Villa Recalcati, approvato nel 2008, già aveva scatenato forti reazioni di contrarietà da parte di ambientalisti, comitati e singoli cittadini, in particolare alla richiesta di riprendere gli scavi alla cava di Cantello, nel 2011. Alla Rasa invece le ruspe erano state fermate ancora prima, nel 2009, in quel caso su forte pressione del Comune di Varese: era stato presentato e vinto un ricorso al Tar perché nella documentazione necessaria a scavare mancava la Valutazione Ambientale Strategica (Vas). Da quando l’ente Provincia è stato commissariato però le Vas vengono fatte direttamente dalla Regione, e così la proprietà ha presentato la richiesta di riprendere.
Finché la valutazione ambientale non sarà pronta il problema non si pone. Una volta che arriverà invece l’amministrazione comunale di Varese dovrà fare i conti con due posizioni contrastanti: gli interessi e i diritti della proprietà della cava in mancanza di scorrettezze procedurali, da una parte, e l’indirizzo del consiglio comunale del Capoluogo che si è espresso chiaramente per fermare l’escavazione con due delibere.
Per rendere l’idea di quel che si intende per “recupero ambientale” e “messa in sicurezza” del fronte di cava, che ambientalisti e tecnici di Palazzo Estense garantiscono essere già rinaturalizzato, il piano cave consente l’escavazione e la vendita di due milioni e mezzo di metri cubi sottratti alla cima della Martica da effettuarsi in 15 anni. Il valore di mercato dell’operazione è quantificabile in 250 milioni di euro.
Francesca Manfredi