Giovani e democratici: ecco la nuova generazione del Pd

Quasi tutti sotto i quarant’anni, o superati da poco, occupano le cariche principali del partito dal livello nazionale scendendo fino al provinciale. E nelle istituzioni vengono eletti i giovanissimi

15 Maggio 2014
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Mosca


È la nuova generazione del Pd. Che oggi vuole portare il protagonismo dell’Italia in Europa.

Tra i candidati alle elezioni europee che sono passati da Varese, non poteva mancare la capolista della circoscrizione Nordovest Alessia Mosca. Al secondo mandato in Parlamento, fa parte della nuova generazione che sta prendendo in mano le redini del Pd, ovvero la generazione degli anni Settanta. Mosca, classe 1975, è dello stesso anno del premier e segretario di partito Matteo Renzi, che è anche quello del segretario provinciale Samuele Astuti. Ma non si tratta solo di una caratteristica di corrente, perché anche lo sfidante di Astuti al congresso provinciale, il bersaniano Luca Carignola, è sempre del 1975. Qualche anno in più, ma sempre della stessa generazione, i segretario regionale Alessandro Alfieri, classe 1972.

Il rinnovamento del Pd passa anche dal consiglio comunale, dove siedono invece esponenti della generazione successiva: Luca Conte (classe 1985), Andrea Civati (classe 1986) e Giampiero Infortuna (classe 1989). Civati è renziano, bersaniani i colleghi.

La capolista Alessia Mosca, protagonista di un tour ieri in provincia, ma ne effettuerà un altro settimana prossima, ha sottolineato l’importanza del voto europeo per ridare dignità all’Italia. “L’Italia deve diventare veramente protagonista in Europa, giocando un ruolo attivo nel determinare le prossime politiche dell’Unione. Bisogna uscire dall’ottica antieuropeista che fa passare, anche attraverso i grandi mezzi di comunicazione, l’Europa come un concetto distruttivo. In realtà, se utilizzare bene la nostra presenza nell’Unione può portare solo benessere. Quello che gli euroscettici non dicono, ad esempio, è che se uscissimo dall’Unione non ci sarebbe più certezza per le pensioni e il sistema di welfare, che è garantito stando dentro certi parametri. Così come un ritorno alla Lira, per quanto la possiamo svalutare, finirebbe per rendere più deboli le nostre aziende, perché siamo una Paese trasformatore e non produttore di materie prime. Che continueremmo a comprare dall’estero. Ma con una moneta debole, alla fine la nostra economia ne risentirebbe”.

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