
Davanti a un limite, l’uomo deve mettersi in gioco per arrivare all’ostacolo successivo, sino a quando, da campione, potrà finalmente esultare dei suoi sacrifici: così nella vita, così nello sport.
Un ragazzo, questo concetto, ha deciso di metterlo in pratica nella sua quotidianità, a testa alta e con la grinta degna di un eroe epico, dove l’ardore affianca la passione.
Lui è Fabrizio Sottile, un ventiduenne di Samarate. La passione per il nuoto l’ha accompagnato sin da bambino, spianandogli la strada per una carriera di successi tra corsie e trampolini.
Poi in piena età adolescenziale, è arrivato un avversario difficile, quasi imbattibile: Leber, il morbo di Leber. Quella dannata macchia, perennemente davanti ai suoi occhi ogni giorno si faceva sempre più forte, senza tuttavia fargli pensare minimamente di uscire dalla piscina. Già il coraggio, già la passione, ma soprattutto lo sport parolimpico gli ha permesso di continuare a mettersi in gioco, sino a raggiungere obiettivi sempre più stimolanti che sarà lui stesso a raccontarci.
Fabrizio, raccontaci brevemente la tua storia.
Mi sono avvicinato al nuoto da bambino, in età adolescenziale ho raggiunto buoni risultati, come i campionati regionali. Poi nel 2010, mentre mi allenavo per i campionati nazionali affrontando ritmi intensi, una macchia è comparsa davanti ai miei occhi. Fu il mio primo incontro col morbo di Leber, quella malattia che mi ha quasi fatto perdere la vista e con cui tuttora gareggio quotidianamente.
Senza mai perdermi d’animo, sono stato costretto ad abbandonare parte dei miei sogni e ridimensionare alcuni progetti. Mi sono però avvicinato al nuoto paralimpico, l’attività principale che svolgo attualmente.
Com’è stato l’impatto con il parolimpico?
L’approccio col mondo parolimpico non fu facile sin da subito. Era un mondo che mai avrei pensato di conoscere. Invece mi ci sono ritrovato all’improvviso, tra l’amareggiato e lo scettico, temendo di non essere in grado di affrontare la situazione creatasi.
Ho avuto dalla mia parte persone molto valide che mi hanno aiutato in questo passaggio, soprattutto a non farmi perdere le motivazioni e la voglia di mettermi in gioco.
E’ grazie a loro che agli Europei di Berlino del 2011, la mia prima manifestazione paraolimpica internazionale, ho subito raggiunto la medaglia di bronzo.
Inizialmente non avrei mai pensato che lo sport paraolimpico mi desse così tante soddisfazioni, mi ha permesso di continuare a correre per i miei obiettivi.
A proposito di obiettivi, quali sono quelli attuali?
Innanzitutto spero di riscattare la passata stagione che non sempre è stata all’altezza delle mie aspettative, quest’anno ci sono obiettivi importanti per i quali ci metterò il massimo impegno. Mi riferisco agli Europei di Madeira la prossima primavera, ma soprattutto alle Paraolimpiadi di Rio in agosto. Devo prendermi la mia rivincita dopo le ultime Londra. Mi aspetta un’annata molto difficile, però ho dalla mia parte un team di tecnici molto competenti come Andrea Signorelli e Massimiliano Tosini, oltre al supporto della Polha Varese, società di sport paraolimpico per la quale sono tesserato.
Poi sto costruendomi un futuro anche fuori dalla vasca. Sto seguendo un corso di massoterapia per diventare massaggiatore idroterapico.
Quindi il sogno si chiama Rio 2016?
E’ un traguardo ambizioso e stimolante. Penso che esserci sia il massimo per un atleta paraolimpico. Inoltre ho conosciuto dei ragazzi con cui collaboro per affrontare il mio percorso verso Rio. Si tratta del progetto “Swim to Rio” del Rotaract (www.swimtorio2016.com).
E’ bello che dei ragazzi si siano interessati a diffondere sia l’importanza dello sport paralimpico, sia il messaggio che voglio trasmettere, ovvero di continuare a lottare con passione per i propri traguardi.
Mi auguro che questo bellissimo progetto possa essere utile, oltre che esemplare, anche per altri ragazzi nella mia stessa situazione.
Luca Folegani