Dalla provincia di Varese fino a Milano: il nuovo arcivescovo del capoluogo lombardo è nato Gallarate il 29 luglio 1951 e poi cresciuto a Jerago con Orago insieme ai suoi 5 fratelli. Dopo la nomina di giovedì mattina 7 luglio 2017, Mario Delpini ha tenuto un lungo discorso di ringraziamento per l’attribuzione pepale. Questo il testo integrale.
“Vivo questo momento con un acuta percezione della mia inadeguatezza per il ministero al quale mi ha chiamato Papa Francesco. Sono immensamente grato a Papa Francesco per questo segno di fiducia, ma questo non toglie che avverto tutta la sproporzione tra il compito al quale sono chiamato e quello che io sono. L’inadeguatezza si percepisce già dal nome: gli Arcivescovi di Milano hanno nomi illustri, come Angelo, Dionigi, Carlo Maria, Giovanni, Giovanni Battista, ecc. Ma Mario che nome è? Già si può prevedere che si tratta di un vescovo piuttosto ordinario.
Sono stato per tutta la mia vita in diocesi di Milano e perciò sono conosciuto dal clero, cioè dai presbiteri e dai diaconi così come da molti laici e comunità: non potrò essere una sorpresa. Mi immagino che molti pensino quello che penso anch’io: “sì, è un brav’uomo … ma arcivescovo di Milano… sarebbe meglio un altro”. Ma adesso la scelta è fatta e credo che tutti desideriamo di dare il meglio perché la Chiesa di Milano continui la sua missione di irradiare la gioia del Vangelo.
Sono stato per tutta la mia vita in diocesi e ho contribuito a molte decisioni da quando il card. Martini mi ha chiamato a essere rettore del Seminario ad oggi. Alcune scelte sono state giuste e gradite, altre sono state forse sbagliate e sgradite. Ecco vorrei chiedere a tutti di non restare impigliati nel risentimento, vorrei chiedere scusa per quello che ha causato sofferenza e malumore e chiedere a tutti quella benevolenza e condivisione che renda visibile una comunione profonda e consenta di essere un segno di speranza per tutti coloro che guardano alla Chiesa di Milano come a una presenza amica, accogliente, capace di diffondere serenità e di costruire la pace.
Conosco abbastanza la Diocesi per rendermi conto che per continuare questa storia di santità ci vorrebbe un vescovo santo. Io invece percepisco tutta la mia mediocrità. Ho quindi bisogno di essere accompagnato e sostenuto da molta preghiera e da quella testimonianza di santità operosa fino al sacrificio, discreta fino al nascondimento, docile fino alla dimenticanza di sé che è tanto presente nel popolo ambrosiano.
Per essere all’altezza delle questioni che si affrontano a Milano, città ricca di storia, di cultura, di ricerca, di innovazione si vorrebbe un vescovo geniale. Se considero la bibliografia dei miei predecessori, in particolare del Card. Scola, del Card Tettamanzi, del Card. Martini mi sento persino in imbarazzo constatando di aver scritto poco più che qualche battuta. Ho quindi bisogno del confronto, del consiglio, dell’insegnamento di tanti maestri di teologia e di ogni altro sapere che rendono così significative le istituzioni accademiche e i centri di cultura di cui Milano può vantarsi.
Per orientare il cammino di un popolo tanto numeroso e talora preso da dubbi, insidiato da confusioni e rallentato da incertezze ci vorrebbe una personalità carismatica e di grande autorevolezza. Invece io ho vissuto il mio ministero più come un impiegato che come un leader. Ho quindi bisogno di quel sostegno sinodale che compensi la mia inadeguatezza con l’ardire, la lungimiranza, la determinazione che è congeniale al popolo ambrosiano.
Come ho detto in diverse occasioni, ho una grande ammirazione per i preti ambrosiani e conto sulla loro comprensione e collaborazione quotidiana perché non siano troppo deluse le esigenze e le aspettative della gente che amiamo. I laici e i consacrati che vivono in diocesi si riconoscono per la loro intelligenza, intraprendenza e amore per la Chiesa: ho bisogno di tutti e del resto la nostra Chiesa deve rivelare in modo sempre più evidente i tratti di sinodalità e corresponsabilità che il Concilio Vaticano II ha delineato.
Per disegnare il volto della comunità futura che si configura con il contributo di tutti, con l’apporto di tante tradizioni culturali e religiose e capace di far fronte alle necessità di tutti ci vorrebbe una straordinaria apertura di mente e di cuore e io mi sento troppo provinciale e locale. Ho quindi bisogno che tutti gli uomini e le donne che abitano in diocesi, da qualunque parte del mondo provengano, qualunque lingua parlino, aiutino la Chiesa ambrosiana ad essere creativa e ospitale, più povera e semplice, per essere più libera e lieta.
Il Signore benedica questa Chiesa e benedica il pastore inadeguato che Papa Francesco ha scelto.”